Ognuno ha il suo Monte Bianco: lezioni di crescita personale dalla spedizione M4810
La spedizione M4810 di Methodos è stata un'avventura “epica”, per persone normali, che si è svolta nel corso di cinque anni e che è culminata con l'ascesa al Monte Bianco

La spedizione M4810 di Methodos è stata un’avventura “epica”, per persone normali come noi, che si è svolta nel corso di cinque anni e che è culminata con l’ascesa al Monte Bianco. Durante questa incredibile esperienza, sono emerse numerose lezioni di crescita personale che possono essere applicate a tutte le sfide della vita.
La preparazione è fondamentale
La spedizione M4810 ha richiesto una rigorosa preparazione fisica e mentale. Senza la motivazione e l’impegno necessari per allenarsi adeguatamente, non sarebbe stato possibile raggiungere gli obiettivi prefissati. Il progetto-provocazione ci è stato svelato da Filippo Muzi Falconi nel 2017 durante un evento aziendale in una località marinara. Credevamo fosse uno scherzo, fino a quando non è comparso Arnaud Clavel, guida alpina di Courmayeur, in compagnia della sua famiglia. Uno che ha fatto il record, in 28 ore, dell’integrale di Peuterey, la più lunga e complessa ascesa delle Alpi, non fa mai un passo a caso. Da lì in poi, lo studio teorico, con le lezioni serali del CAI Milano, il cambio di stile di vita e alimentare, i test medici e, soprattutto, le uscite sul campo di allenamento, ci hanno fatto progressivamente toccare con mano, a volte con altre parti, i sentieri, le rocce e infine, i ghiacciai. In tutto, oltre 50 persone hanno partecipato al progetto, con 950 giornate, 14 tappe e circa 10 milioni di passi. Tutti hanno sfidato i loro limiti, e alcuni hanno superato ostacoli davvero tosti, imparando che ognuno ha il suo Monte Bianco da superare e la certezza che il cambiamento è sempre possibile.
La sicurezza viene prima di tutto
In montagna, la sicurezza è fondamentale. Anche con l’aiuto di guide esperte, non si può garantire una sicurezza al 100%. Questa lezione si riflette anche nel contesto del cambiamento, dove è importante prendere le precauzioni necessarie e gestire i rischi in modo responsabile. Ricordo la leggerezza con cui mi sono messo in braghette da runner per stare comodo e all’aria in una bellissima giornata di sole attraversando qualche nevaio. Ero l’unico, strano no? Poi ho imparato dagli sguardi parlanti delle guide, che in montagna non si può mai sapere come e quanto velocemente cambia il clima, che cadendo su una pietraia ci si può ritrovare con gambe e braccia abrasi in un nanosecondo. Da allora, pantaloni lunghi, eventualmente con la parte inferiore rimovibile, sempre pronto a cambiare assetto e in ogni caso protetto. Bisogna ridurre i rischi al massimo, anche perché uno che si infortuna danneggia sé stesso e altri ne pagano le conseguenze.
Il potere della squadra
Durante la spedizione M4810, è emerso il potere della squadra nel favorire le prestazioni individuali. Ognuno ha contribuito al successo collettivo mettendo il proprio “passo” e lavorando insieme per raggiungere l’obiettivo comune. Alcuni non erano mai stati in montagna, altri non volevano tornarci. Qualcuno l’ha presa come una gara competitiva, la maggior parte come un’occasione per affrontare le proprie paure. Dopo ogni tappa, ci siamo ritrovati insieme per fare luce sull’esperienza, condividendo emozioni, dubbi, suggerimenti e silenzi esplorativi. Lì il potere della squadra si moltiplicava, dando un senso collettivo, sviluppando sensibilità di rispetto, comprensione ed empatia, facendo emergere una dimensione corale polifonica, superiore all’esperienza individuale.

Il coraggio di provarci
La spedizione M4810 ha richiesto coraggio. Ogni partecipante ha dovuto superare difficoltà e momenti di stanchezza personali, piccoli agli occhi degli altri, ma montagne per la propria storia. Una passerella stretta, sottile e viscida; un passo molto vicino a un crepaccio buio e misterioso; un ancoraggio alla ferrata con precipizio di 1000 metri; un passo zavorrato da uno stile di vita a forma di sedia. Il caleidoscopio delle forme di questa esperienza ci ha insegnato che la sfida è sempre con sé stessi e che solo avventurandoci oltre la nostra zona di comfort possiamo scoprire fino a che punto siamo capaci di arrivare.
Affrontare i dubbi e rafforzare la volontà
Durante la spedizione, sono emersi dubbi e incertezze, ma affrontarli ha rafforzato la volontà di continuare. Questo ci ricorda che i dubbi e le incertezze fanno parte del percorso di crescita personale e che superarli ci rende più forti e determinati. Qualcuno non ha potuto mettersi in gioco, per limiti medici e forse psichici, e ha assunto altri ruoli (comunicatore, organizzatore, relazioni con gli sponsor, ecc.). Molti hanno sperimentato il cambio di stile di vita necessario, rimodulato gli obiettivi strada facendo (ad esempio, arrivare fino al rifugio, ma non in vetta), oppure moltiplicato gli sforzi per colmare eventuali lacune, creando sotto-gruppi informali, diventati amicali. Abbiamo raccolto con sondaggi intermittenti lo stato d’animo prevalente, intercettando segnali deboli di smarrimento, accolti senza giudizio. Ogni fase non è stata data per scontata. Poi è arrivato il Covid e ci ha bloccato per quasi 2 anni, ibernando il progetto. Alla fine, è arrivata anche la tragedia della Marmolada, proprio il giorno prima di salire sul Gran Paradiso. Ogni volta, una scelta personale e volontaria da fare. Un bivio da interpretare con la consapevolezza che l’ora d’oro è sempre ora.

Ogni traguardo è un punto di ripartenza, per adattarsi
Raggiungere un traguardo, anche se parziale, è motivo di celebrazione, ma è anche un punto di ripartenza per nuove sfide e obiettivi. La spedizione M4810 ci insegna che ogni successo apre la strada a nuove opportunità di crescita e miglioramento. Si è svolta in un contesto mutevole, come le condizioni climatiche che stanno causando la scomparsa dei ghiacciai alpini. Questo ci ricorda l’importanza di adattarsi alle circostanze e di essere flessibili nel percorso che intraprendiamo. L’adattamento è fondamentale per affrontare le sfide e ottenere risultati positivi.
Esperienza personale: Il mio monte Rosa
Durante la spedizione M4810, un anno fa oggi, sono salito per la prima volta alla punta Gnifetti, nel gruppo del Monte Rosa, quota 4554 metri, dove si trova la Capanna Margherita del Club Alpino Italiano, il rifugio più alto d’Europa. Era una delle tappe finali e cruciali di acclimatamento e preparazione per la salita che avremmo intrapreso di lì a due settimane al Monte Bianco, destinazione ultima della spedizione M4810 di Methodos. Era una tappa toll-gate, ci ha detto Martina Danda, la madrina della spedizione: “Se non ce la fai lì … non puoi fare il Bianco”. Per me è stata di gran lunga la più difficile, anche più dell’ascesa al Monte Bianco. Il giorno prima stavo benissimo, ricordo il ritrovo in valle a Gressoney, una giornata calda, ma frizzante di energia ed entusiasmo. Salita al rifugio Mantova, 3375 metri e partenza alle 3 del mattino. All’inizio con le torce e l’adrenalina tutto bene, poi lentamente è arrivata una stanchezza indicibile e un mal di pancia che ho trattenuto coi denti per tutte le ultime 2 ore finali di ascesa. Ogni passo mi pesava come 1000 insieme. Più volte ho avuto la tentazione di gettare la spugna. Poi mi sono ancorato all’idea di fare 1 passo alla volta, come obiettivo mentale e operativo. Mi sono trasformato nella catena umana muta e fortissima della cordata con i miei compagni. Ho sentito, senza che loro sapessero cosa mi stava accadendo, che anche loro erano aggrappati a un’idea di farcela insieme, somma maggiore delle parti, come risultato di squadra. La Capanna l’ho conosciuta soprattutto nei 2 metri quadrati in fondo a sinistra con la scritta Toilette, maledicendo la tartare di carne del giorno prima. Per me rimane l’esperienza più estrema di fatica che abbia mai fatto, superata solo grazie a chi era con me, anche quelli che non erano lì fisicamente, ma tifavano per noi.
Il campanello d’allarme per tutti noi
Uno degli effetti più profondi e duraturi di questa esperienza riguarda tutti noi. Vedere i ghiacciai da vicino e osservare concretamente come stanno scomparendo e sentire le guide dire “non ho mai visto questo posto così in vita mia”, eleva il monito sul riscaldamento globale e la nostra collettiva responsabilità. Il ricercatore dell’Istituto di Scienze polari del Cnr Jacopo Gabrieli, intervistato da il Dolomiti, chiarisce scientificamente lo scenario della scomparsa dei ghiacciai alpini. “Le temperature ‘torride’ registrate anche in quota nelle ultime estati hanno privato tutti i ghiacciai della neve che li ricopriva e quindi dello stato isolante che li ‘protegge’. I corpi glaciali, d’altronde, sono le prime sentinelle del riscaldamento globale. Se le temperature medie a livello globale sono cresciute rispetto all’era pre-industriale di circa 1,1 gradi centigradi, in alta quota quel valore va raddoppiato, arrivando ad un aumento medio di circa 2,2-2,5 gradi.
Diversi lavori scientifici hanno realizzato delle stime – dice Gabrieli – sulla base dei diversi scenari di emissioni da qua al 2050. In sostanza, a prescindere dalle misure di mitigazione che come specie saremo in grado di implementare, fino al 2050 non si vedrebbero comunque importanti differenze nel trend attuale, nell’aumento quindi delle temperature medie. Questo significa che, anche se per assurdo riuscissimo a tagliare a zero le emissioni a partire dal prossimo anno, entro il 2050 il 50% della massa di ghiaccio nelle Alpi sparirà comunque. Gli effetti che vediamo oggi sono purtroppo le conseguenze delle azioni di decenni fa”. “Il ghiacciaio della Marmolada, per esempio – avverte Gabrieli – non è ‘a rischio’: è un malato terminale. Entro circa 20 anni vedremo la sua scomparsa. I corpi glaciali maggiormente a rischio sono ovviamente quelli più piccoli, con una superficie inferiore al chilometro quadrato, e a quote relativamente basse. Quelli con più massa risentono comunque dei cambiamenti climatici, ma il loro destino è più lento. I ghiacciai contengono e raccontano in qualche modo la nostra storia: con la loro scomparsa perdiamo biodiversità, importanti riserve d’acqua e una memoria del nostro passato. La grande differenza sta in quello che riusciremo a fare per i nostri nipoti. Allungando l’orizzonte temporale fino alla fine del secolo, infatti, se agiremo con azioni di mitigazione ‘aggressive’, potremo ridurre le perdite e mantenere un 40% della massa di ghiaccio attuale. In uno scenario ‘business as usual’ invece, se non cambieremo nulla dunque dal puntodi vista delle emissioni, nel 2100 i ghiacciai alpini saranno virtualmente scomparsi: la massa rimasta sarà pari al 5% di quella attuale e si parlerà in sostanza di una manciata di calotte ghiacciate al di sopra dei 4mila metri.
Conclusione
La spedizione M4810 ci ricorda che ognuno ha il proprio “Monte Bianco”, la propria sfida personale da affrontare con determinazione, coraggio e resilienza. Che si tratti di scalare una montagna o affrontare qualsiasi altra sfida, ricordiamo che la preparazione, la sicurezza, il lavoro di squadra e il coraggio sono fondamentali per emergere migliori, o almeno averci provato. Grazie a tutti quelli che hanno reso possibile e intrapreso il percorso M4810 in questi anni e che lo hanno reso unico. Grazie a chi ha fatto un passo e a chi ne ha fatti 1 milione, a chi preferisce le Maldive e si è ritrovato sui ghiacciai ex-perenni, a chi “la montagna, neanche morta” e a chi “la spiaggia è la morte”, a chi intanto faceva andare avanti la baracca e a chi ha pagato le fatture, a chi ha fatto il tifo “neanche ai mondiali”, a chi avrebbe voluto… ma il Covid, la famiglia, il ginocchio, il dottore… a tutti grazie per sempre. Ognuno di noi ha il potenziale per raggiungere le proprie vette personali, con la determinazione di mettersi in gioco e superare i propri limiti mentali.
“La montagna mi dà l’opportunità di scoprire ciò che sono veramente”, Reinhold Messner.
“E cosa saresti tu (Monte Bianco), e la terra, e le stelle, e il mare, se per l’immaginazione della mente umana, silenzio e solitudine fossero vacuità?”, Percy Shelley.
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
Giorgio Moroni su Stie replica alle critiche per i trasporti degli studenti: "Pronti a valutare i rimborsi ma ci sono carenze e difficoltà"
DavideCastronno su "Chiediamo ad Anas di abbattere i ruderi all'ingresso di Varese"
ccerfo su Ogni domenica contro l'orrore, a Varese la protesta che non si ferma
Alberto Gelosia su Anche questa domenica si scende in piazza a Varese per la Palestina
Angelomarchione su Gioia varesina in Olanda: la squadra di "Anima" trionfa alla Color Guard 2025
Fabio Rocchi su "Mio figlio di 7 anni allontanato dall'oratorio di Gorla Maggiore perché musulmano"
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.