Biologico, troppi prodotti stranieri venduti come tricolori, un danno anche per il made in Varese
Colombo: “Il rischio è che l’invasione di prodotto estero a basso costo finisca per mettere all’angolo la qualità prodotta a Varese e in Italia, servono più informazione e tutela per imprese e consumatori”
Fermare la concorrenza sleale delle importazioni a basso costo e valorizzare il vero prodotto tricolore sono le condizioni fondamentali per costruire filiere biologiche dal campo alla tavola. I record del bio italiano, infatti, sono minacciati dall’aumento spropositato delle importazioni di prodotti biologici dall’estero, cresciute del 40% nel 2023, in controtendenza rispetto al dato dell’Unione Europea. Prodotti che non assicurano la stessa qualità e sicurezza di quelli nazionali ma che finiscono spesso per essere venduti come tricolori grazie alla mancanza di un’etichettatura d’origine riconoscibile.
I dati resi noti da Ismea sull’agricoltura biologica evidenziano una crescita del 4,5% della superficie coltivata, arrivata a coprire 2,46 milioni di ettari garantendo al nostro Paese la leadership in Europa. (nella foto il presidente di Coldiretti Varese Pietro Luca Colombo).
IMPORT IN AUMENTANO
Gli arrivi di cibo biologico extra Ue in Italia sono passati dai 177 milioni di chili del 2022 ai 248 milioni del 2023, secondo l’ultimo rapporto della Commissione Ue, mentre quelle totali nell’Unione Europea sono diminuite del 9%: il nostro Paese ha così scavalcato la Francia salendo al quarto posto tra i maggiori importatori dietro Olanda, Germania e Belgio. “Il rischio è che l’invasione di prodotto straniero a basso costo finisca per mettere all’angolo quello italiano e prealpino di qualità, causando un’inversione di tendenza rispetto alla crescita dei terreni coltivati. E facendo diventare l’Italia un Paese importatore invece che produttore. In questo modo andrebbero vanificati gli sforzi delle imprese agricole che hanno consentito in questi anni di raggiungere la percentuale di quasi un terreno su cinque coltivato con metodo bio, mentre sei regioni hanno addirittura già superato l’obiettivo indicato dall’Ue del 25% della superficie totale” osserva il presidente di Coldiretti Varese Pietro Luca Colombo.
IL CASO CEREALI
Il settore dove è stato più evidente l’aumento degli arrivi è quello dei cereali. Nel giro di un anno le importazioni di grano bio sono aumentate di oltre trenta volte da 1,5 milioni di chili a quasi 32 milioni di chili. Cereale magari usato per fare pasta, pane e altri prodotti con il logo del biologico. Aumenti record anche per gli ortaggi bio, cresciuti dell’84%. In crescita pure gli arrivi di olio d’oliva (+15%) con l’Italia che è oggi al primo posto tra i Paesi importatori. Nel 2023 ne sono entrati nel nostro Paese oltre 24 milioni di chili, più della metà del totale importato in tutta l’Ue. Per tutelare il lavoro delle oltre 84mila imprese che hanno scelto il metodo di produzione bio è dunque urgente fare ogni possibile sforzo per valorizzare il prodotto agricolo biologico nazionale, favorendo la creazione di filiere interamente made in Italy, dal campo fino alla tavola e rendendo operativo il marchio del biologico italiano, previsto dalla legge 23/2022, fortemente sostenuta da Coldiretti.
LE ETICHETTE
«Solo in questo modo i consumatori potranno riconoscere immediatamente, dalle etichette, le produzioni biologiche nazionali garantite e certificate – aggiunge Colombo – Il biologico sta dimostrando di essere una risposta alle sfide attuali per una maggiore sostenibilità economica ambientale e sociale. È necessario però ricentrarlo nella sua dimensione agricola, legarlo saldamente al territorio di produzione ed affrontare un processo di evoluzione nel sistema di certificazione che possa essere sempre di più garante di un modello produttivo attento all’ambiente e alle persone di cui le aziende agricole italiane sono da tempo protagoniste. Per questo è necessario che l’Unione renda operativo al più presto il principio di conformità rispetto alle importazioni, ovvero stesse regole per il bio comunitario e quello dei Paesi terzi, poiché non è possibile accettare che entrino nel nostro Paese cibi coltivati secondo regole non consentite nella Ue».
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