Alla Ubik di Varese la storia della fioraia di Sarajevo e degli altri cittadini travolti dalla guerra
Il fotoreporter Mario Boccia ha presentato il suo libro di illustrazioni che riproducono le tante istantanee scattate durante i giorni terribili di un conflitto che ha diviso comunità cresciute insieme
Un libro di foto “disegnate”, una storia adatto a tutti, bambini, adulti e anziani per raccontare una comunità, quella di Sarajevo, negli anni della guerra negli anni ’90. Quattro lunghi anni dove odio, vendetta, brutalità hanno dilagato laddove c’erano convivenza, amicizia e fratellanza.
A firmare il libro “La fioraia di Sarajevo” è stato Mario Boccia, fotoreporter, ospite alla libreria Ubik di Varese all’interno dl Festival [.
Attraverso l’obiettivo, Mario Boccia ha colto l’umanità travolta dal conflitto, sguardi, gesti, interni di case, scrigni di vite distorte e di speranza, di disperazione ma anche di crudeltà: «Non puoi raccontare uno scontro se non riporti i racconti di entrambi gli schieramenti, se non superi più volte la linea del fronte».
Al pubblico presente, il fotoreporter ha parlato dei racconti narrati da una fotografia: un gruppo di bambini, i cecchini appostati, il mercato vuoto, il concerto rock durante una tregua, la famiglia nella casa di fortuna.
E su tutte la fioraia, incontrata al mercato al suo banchetto colorato. Uno scambio di parole, lei colpita dalle sue macchine fotografiche, lui attirato dal suo sguardo. Un’amicizia nata per caso, in un momento storico brutale che la fioraia non supererà, fermata da un cecchino mentre stava camminando per strada per andare alla sua postazione al mercato.
«Io non sono un fotografo di guerra – ha sottolineato Mario Boccia – sono stato in tante zone di guerra ma alla ricerca dell’umanità, delle storie normali. E quelle le voglio raccontare ai bambini che incontro nelle scuole quando presento questo mio libro, con le illustrazioni per arrivare in modo più diretto».
La fotografia, come il fotoreporter ha ricordato, ha una vita propria, trasmette emozioni e sensazioni diverse. A distanza di anni, quegli scatti, messi sulla sua pagina Facebook hanno creato altre storie, di gente che si riconosce, si ritrova ed è viva, magari emigrata in altri stati, ma viva.
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