Il prete non stava con la vedova: condannata a Varese per diffamazione la sua accusatrice
Il sacerdote accusato con lettere inviate alla curia di aver intessuto una relazione con la donna e di essere il padre della figlia: si sottopose alla prova del Dna. “Anni di grande sofferenza"
Si è concluso questa mattina davanti al Giudice di Pace di Varese il processo a carico di un’avvocatessa varesina accusata di diffamazione a danno di un sacerdote nonché di una vedova residente in città e di sua figlia. I fatti risalgono a qualche anno fa, quando l’avvocatessa aveva preso carta e penna ed inviato in Curia una lettera con cui segnalava che, a suo dire, il prete avrebbe intrattenuto una relazione sentimentale con la signora, che da poco aveva perso il marito, andando a convivere con lei e con la figlia di quest’ultima (all’epoca minorenne).
Gravi le accuse rivolte nella missiva al sacerdote nella quale si insinuava che la giovane fosse addirittura sua figlia. Immediata la reazione del don e delle due donne coinvolte, che si rivolsero all’avvocato Daniele Pizzi (oggi sostituito dall’avvocato Bartolomeo Catalano) per depositare una querela in Procura, sottoponendosi addirittura al test del Dna per dimostrare l’infondatezza delle accuse. Dopo due anni di processo, in cui l’imputata è stata assistita dall’avvocato Mauro Pagani, e svariati testimoni sentiti in aula, oggi è arrivata la sentenza: condanna a 1.000 euro di multa come richiesto dal Pubblico Ministero oltre al risarcimento in favore del sacerdote (provvisionale di 3.000 euro) e delle due donne coinvolte (provvisionale di 1.000 euro ciascuna).
«Sono stati anni di grande sofferenza, in cui ho dovuto lasciare il ruolo ecclesiale che ricoprivo e trasferirmi altrove perchè questo processo si potesse celebrare con la necessaria serenità. Finalmente è arrivata la parola fine ed è stato accertato che si trattava di diffamazioni prive di fondamento. Ringrazio l’avvocato Daniele Pizzi che mi è stato accanto e che con il suo lavoro ha permesso di ristabilire la verità dei fatti, ovvero che stavo svolgendo il mio ministero anche mediante l’assistenza a una famiglia che aveva appena vissuto una perdita in modo molto tragico», ha commentato il prelato, visibilmente commosso, all’esito dell’udienza.
La vicenda potrebbe riapprodare prossimamente nelle aule del tribunale dove potrebbero venir celebrati il processo di appello e la causa civile per l’esatta quantificazione dei danni.
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