Specie ad alto rischio di estinzione: Homo migratorio
Donald Trump è figlio di un’immigrata scozzese e nipote di un migrante renano. Come la connettività accelera i flussi umani mentre la politica tenta di bloccarli

Le cronache globali, italiane e locali sembrano raccontare storie scollegate. Eppure, un filo rosso le unisce tutte: la migrazione.
Donald Trump, figlio di un’immigrata scozzese e nipote di un migrante renano, tuona: “I palestinesi lascino per sempre Gaza”. Poi rilancia: “Basta messicani negli USA”. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Germania si allinea: la CDU chiede più controlli alle frontiere, restrizioni sui ricongiungimenti familiari e maggiore detenzione per i migranti privi di documenti. E il Mediterraneo? Ancora una volta, è il cuore caldo della politica migratoria europea. Il caso del generale libico Osama Almasri lo dimostra. Arrestato in Italia e poi rilasciato con un volo di Stato, il suo destino racconta più di mille analisi sulle migrazioni. Mentre i rifugiati libici vengono bloccati nei campi di detenzione finanziati dall’UE, un uomo accusato di crimini contro l’umanità è stato rimpatriato in tutta fretta. Perché? Perché la mobilità non è uguale per tutti. È questione di potere.
Ma anche sotto casa nostra, la gestione dei flussi migratori segue logiche simili. Nel Varesotto, la Polizia ha smascherato un giro di false cittadinanze italiane vendute a brasiliani. Con la compiacenza di un ex funzionario comunale, oltre 300 brasiliani hanno ottenuto passaporti italiani in cambio di tangenti. Alcuni risultavano domiciliati in un solo appartamento: 84 persone registrate allo stesso indirizzo. Il risultato? Cittadinanze comprate con pochi spiccioli, mentre altrove ci si strappa le vesti per la difesa dell’italianità. Non è tutto. Sempre in provincia di Varese, sette operai cinesi vivevano dentro il cantiere dell’hotel in cui lavoravano in nero. Quattro di loro erano privi di contratto, costretti a dormire tra materassi e fornelli di fortuna. Il cantiere, gestito da una ditta milanese e commissionato da una società cinese, è stato chiuso per gravi violazioni di sicurezza. Ancora una volta, la mobilità dei corpi segue logiche invisibili: si chiudono i porti, ma si lasciano aperti i cantieri del lavoro nero.
La migrazione: il vero motore della nostra epoca. Le migrazioni non sono solo fisiche. Oggi, sono economiche, digitali, climatiche e intellettuali. Il lavoro si muove, la cultura si trasforma, il sapere circola. I confini non possono fermare la mobilità: possono solo provare a rallentarla. Se la migrazione esiste da sempre, cosa la rende oggi così visibile, centrale e controversa?
La connettività: la forza invisibile che muove il mondo. Se c’è un fattore che accelera la migrazione, è la connettività. Con internet e i social media, un giovane africano può sapere esattamente come raggiungere l’Europa grazie a WhatsApp o TikTok. Un neolaureato italiano trova offerte di lavoro in Australia con un clic. I migranti non sono più isolati: condividono informazioni, ricevono aiuto, pianificano. I viaggi low-cost e le reti di trasporto globali rendono la mobilità un viaggio di andata e ritorno continuo. Chi parte può tornare, inviare rimesse, mantenere legami con il paese d’origine. Un lavoratore a Londra o Dubai mantiene la famiglia in Bangladesh o Albania, finanziando altre partenze. Le interconnessioni sono culturali ed economiche. Un’azienda a Varese può perdere clienti per una crisi in Cina. Un imprenditore può gestire una startup californiana senza mai lasciare la sua città.
Il paradosso della connettività: accelerazione e resistenza. Più la connettività accelera la mobilità, più la politica tenta di bloccarla. Ma i muri, i visti negati, le restrizioni ai confini non possono fermare ciò che è già irreversibile. La verità è che il mondo ha già superato il punto di non ritorno. Il futuro non sarà deciso da chi tenta di arrestare le migrazioni, ma da chi saprà governarle, trasformarle in opportunità e non in crisi perenne. Le società che lo capiranno per prime saranno quelle che guideranno il mondo.
Il governo ha detto: “Presto il napoletano non dovrà più emigrare in Svizzera”. No, no o governo italiano, il governo svizzero l’ha detto”, Massimo Troisi.
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