Addio a Sandro Galleani, un padre e un maestro, ma soprattutto un vero amico
Gremita la chiesa parrocchiale della Santa Croce per l'ultimo saluto al leggendario fisioterapista della Pallacanestro Varese e della Nazionale. A onorarlo cinque generazioni di campioni
Una maglia biancorossa con il numero 1 e una azzurra hanno accompagnato l’ultimo viaggio terreno di Sandro Galleani, al cui funerale ha preso parte tutto il mondo del basket e dello sport che il leggendario massofisioterapista aveva frequentato per lunghi decenni, da protagonista-non giocatore.
Tanti, tantissimi amici, ex giocatori e corridori, dirigenti, molti rappresentanti attuali della Pallacanestro Varese sono arrivati alla chiesa parrocchiale della Santa Croce di Gazzada Schianno dove si è svolto il funerale di Sandro, una figura arrivata in città nei primi anni Settanta – era nativo di Basiano, nel Milanese – e rimasto nella squadra locale per quarant’anni, aggiungendo poi anche l’incarico di dirigente addetto agli arbitri dopo la pensione da masseur.
A salutarlo, davvero tante generazioni – almeno cinque – della pallacanestro italiana: dai componenti della Grande Ignis come il presidente Guido Borghi, Dino Meneghin, Dodo Rusconi, Aldo Ossola, Massimo Lucarelli, Marino Zanatta (e i poco più giovani Fabio Colombo e Maurizio Gualco), al gruppo della DiVarese con Cecco Vescovi, Meo Sacchetti, Max Ferraiuolo, Dino Boselli, Joe Isaac, Paolo e Andrea Conti (su VareseNews è arrivata anche la necrologia di Corny Thompson) per proseguire con gli eroi del ’99 in biancorosso (Andrea Meneghin, Sandro De Pol, Cristiano Zanus Fortes) e in azzurro (Alessandro Abbio, Denis Marconato).
E ancora gli ex ragazzi Marco Allegretti, Totò Genovese e Marco Passera sino ad arrivare alla generazione attuale rappresentata da Matteo Librizzi, già capitano della sua Varese. Ma l’elenco è infinito, comprende gli attuali vertici biancorossi (Toto Bulgheroni, Luis Scola, Alberto Castelli), rappresentanti federali e tante altre figure del mondo dei canestri (Frates, Della Fiori, Chicca Macchi, Gianni Chiapparo, la squadra della Handicap Sport…), del ciclismo che fu il primo amore di Galleani (Stefano Zanini, Giuseppe Fezzardi…) e di tutte quelle persone che hanno incrociato sulla loro strada (e in palestra) Galleani, apprezzandone le doti umane ancor prima di quelle professionali.
«Grazie a tutti per le tante dimostrazioni di affetto di questi giorni. Avete descritto papà con le parole “padre” e “maestro” – ha detto il figlio Claudio in apertura della celebrazione -. È stato un padre fantastico: abbiamo discusso, litigato, ma sempre nel nome del grande affetto. Io e mio fratello abbiamo avuto tanti fratelli adottivi: i suoi ragazzi. Ed è stato maestro perché mi ha insegnato un mestiere unico. È stato un influencer prima che questi esistessero per come ha direzionato il suo lavoro. Come dicono gli americani “Bigger than life”. Ha detto: “non potevo desiderare di più dalla vita: ho sposato la donna che amo e girato il mondo con lo sport”. E ha consolato gli altri anche durante la malattia».

Durante l’omelia Don Stefano Silipigni ha ricordato Sandro e la sua malattia: « La prima diagnosi fu di un anno come speranza di vita e invece lui ha resistito molto di più. E penso che proprio dal mondo dello sport ad alto livello lui abbia imparato a lottare, a tirare fuori il meglio per la propria vita. Lo sport – ciclismo e basket – è un’arte nobilissima che ci insegna a lottare. E poi la sua grande cura dell’anima e del corpo delle persone che aveva davanti: è la descrizione dei Giusti che leggiamo nelle Letture. Ha vissuto bene, ha saputo morire bene, con la consapevolezza di aver terminato i propri giorni. Ha saputo esprimere il meglio di sé. È tornato nella Casa del Padre, luogo di riposo ma anche luogo dove viene custodito il buono della sua vita. Possiamo dire grazie perché una volta che si è conosciuto e frequentato un uomo così è una consolazione, quella che deve entrare nel vostro cuore oggi».
All’uscita un ultimo tocco speciale. Sandro era l’ultimo a uscire dagli spogliatoi dopo aver completato il lavoro e sistemato tutti gli attrezzi del mestiere: allo stesso modo, quest’oggi, è stato l’ultimo a lasciare la chiesa dopo aver fatto defluire la gente che lo ha atteso sul sagrato per tributargli l’ultimo, lunghissimo, sentitissimo applauso. E pochi, come lui, meritavano un omaggio del genere.
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