Alla scoperta della “gemella del Titanic”: l’esploratore Alpini in partenza per gli abissi della Grecia
La "HMHS Britannic" giace dal 1916 nel canale di Kea e sarà la meta della spedizione diretta dal sub e divulgatore varesino. «Il confronto con un relitto simile è sempre una grande emozione»

Il 21 novembre 1916 nel canale di Kea, braccio di mare che si trova tra la regione greca dell’Attica e – appunto – l’isola di Kea (Ceo in italiano), una mina posata dal sommergibile tedesco U 73 danneggiò irrimediabilmente la HMHS Britannic, nave famosa per essere la gemella del celeberrimo Titanic.
Un disastro dei mari di proporzioni notevoli: la Britannic, nata come transatlantico per i passeggeri, stava operando come nave ospedaliera per conto della Royal Navy che la utilizzava per trasportare i feriti della sanguinosa Campagna di Gallipoli. L’esplosione della mina fu devastante: la Britannic affondò in meno di un’ora con un bilancio di 30 morti, divenendo la più grande nave andata perduta nel corso della Prima Guerra Mondiale.
Il relitto del transatlantico (ai tempi di proprietà della compagnia White Star Line) rimase inesplorato per quasi sessant’anni, perché la marina britannica occultò le coordinate dell’affondamento per motivi militari. Solo nel 1975 il celebre esploratore Jacques-Yves Cousteau riuscì a localizzare lo scafo, raggiungendolo per la prima volta nell’anno successivo. Il Britannic quindi è tornato d’attualità cinquant’anni fa e, anche per questa ricorrenza, sarà oggetto di una spedizione scientifica coordinata da un varesino: Andrea “Murdock” Alpini.
Alpini, 40 anni, laureato in architettura con soprannome ispirato a un celebre personaggio dell’A-Team, ha maturato una solida esperienza nel campo delle esplorazioni subacquee. Tra le altre ha all’attivo due spedizioni al relitto dell’Andrea Doria, è già stato nel 2017 alla Britannic e a luglio visiterà il Lusitania, il piroscafo il cui affondamento (da parte della marina tedesca) causò l’entrata degli Stati Uniti nella Grande Guerra. Ma come si pianifica un’operazione come quella che si appresta ad affrontare Alpini?

«Abbiamo iniziato a programmare la spedizione due anni fa: prima di tutto è necessario ricevere tutti i permessi per le immersioni, rilasciati in questo caso dalle autorità greche. Alla base c’è inoltre un importante lavoro di studio storico, poi bisogna selezionare un gruppo di persone specializzate in grado di ottenere il risultato desiderato. Il nostro è un team internazionale che comprende italiani, svizzeri e greci. Tra di loro ci sono i fotografi Davide Pezone e Stella Del Curto mentre io mi occuperò di realizzare i filmati in alcune parti specifiche del relitto. Ci muoveremo con tre imbarcazioni: due dedicati all’attività subacquea, uno per la sicurezza in mare».
I sommozzatori lavoreranno all’esterno della Britannic, perché è vietato entrare nella nave: «Per questo – prosegue Alpini – i miei obiettivi sono le tre eliche, la poppa, il centro della nave e il ponte di comando da cui è possibile ancora scorgere l’alloggio del capitano. L’obiettivo finale è quello di pubblicare un libro sulla storia della nave e del relitto che uscirà a dicembre e si intitolerà “Il leviatano degli abissi”». Il ricercatore varesino ha già all’attivo diversi volumi di questo genere e non nasconde l’emozione che suscita ogni nuova spedizione.

«Rapportarsi con un relitto, specie di queste dimensioni, causa sempre un’emozione speciale: aiuta a comprendere quanto tu sia piccolo rispetto a una simile opera. E poi questo genere di operazioni permette di raccontare, in un’unica soluzione, storie tecniche, vicende umane, il fascino dell’esplorazione e via dicendo».
Un’attività che, per Alpini, è stata una naturale evoluzione nel corso degli anni: «I miei genitori si immergevano fin dalla fine degli anni Settanta, quindi la parte subacquea l’ho conosciuta fin da bambino. Poi, da adolescente, mi son appassionato ai relitti e ho coltivato nel tempo questa passione; mi sono laureato in architettura, ho insegnato materie inerenti ai beni culturali e ho “fuso” tutto questo con le spedizioni nei mari. La mia struttura, la Phy Diving, ora si occupa proprio di ciò oltre a realizzare materiale tecnico per le immersioni».
La spedizione ha lo stesso titolo del futuro libro e porterà i sub anche sul relitto della nave SS Burdigala, oltre ad avere risvolti scientifici grazie alle collaborazioni il professor Gerardo Bosco (Università di Padova) e la dottoressa Simona Mrakic (CNR). L’inizio sarà il 30 maggio e durerà sino al 14 giugno: un lasso di tempo in cui Alpini e il suo staff chiederanno aiuto alle condizioni meteo, in particolare al vento che in quella zona soffia spesso e con forza. E alle correnti sottomarine che possono rendere più difficile il lavoro negli abissi, intorno al gigante d’acciaio che giace a circa 120 metri di profondità.
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