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“Ho imparato a nuotare per vedere gli animali”: la passione di Marco Colombo diventa mezzo per sensibilizzare sulla biodiversità

Il naturalista e fotografo, ospite a Materia Spazio Libero, ha portato i suoi scatti pluripremiati al Wildlife Photographer of the Year e condiviso immagini e racconti inediti per promuovere la tutela della biodiversità

Materia Varesenews

Ha osservato a lungo fino a scoprire una nuova specie di ragno. Marco Colombo, laureato in Scienze Naturali, guida ambientale escursionistica, istruttore subacqueo e docente al Master in Comunicazione della Scienza dell’Università dell’Insubria, è stato ospite a Materia Spazio Libero mercoledì 7 maggio.

La scoperta è il frutto di una vita passata a osservare, esplorare, cercare. È iniziato tutto con un taccuino e una macchina fotografica a undici anni. Disegnava, sì, ma poi le fotografie hanno preso il sopravvento: erano il modo più diretto per ricordare, per custodire. E poi, per raccontare. Ha imparato a nuotare non per sport, ma per un bisogno viscerale: “volevo vedere gli animali”. Da quel momento, la macchina fotografica è diventata il suo strumento per raccontare le storie della natura, degli animali, dei luoghi nascosti.

“Mi vedete poco, ma ci sono: quando non mi trovate, immaginatemi rannicchiato in un anfratto roccioso, sott’acqua, in mezzo al fogliame, ovunque ci sia una storia da documentare”. Colombo non colleziona trofei, racconta storie; ma è solo stando in mezzo alle persone che le storie acquistano valore.

Gli scatti della biodiversità

“Uno dei miei scatti preferiti è di uno scorfano, spesso visto come brutto”. Eppure, osservato nel suo ambiente naturale, rivela un’eleganza sorprendente. Il suo colore rosso – uno dei primi a scomparire sott’acqua – lo rende praticamente invisibile ai predatori. Un esempio straordinario di mimetismo, più legato alla strategia evolutiva che alla bellezza da cartolina.

A guidare lo sguardo è la consapevolezza che il valore di un animale non si esaurisce nell’apparenza o nell’utilità per l’uomo. Colombo chiarisce: “Molti animali marini vengono ancora visti solo come cibo: aragoste vive, conchiglie svuotate”. Una bellezza spesso ignorata, perché silenziosa.

“Uno degli incontri più straordinari l’ho avuto nel Mediterraneo: la foca monaca”. Un animale iconico, a lungo sull’orlo dell’estinzione, la cui apparizione è quasi mitologica. Fotografare un cucciolo di foca monaca sott’acqua è stato un privilegio raro, un momento irripetibile. Un ricordo indelebile, come quello del primo incontro con un pesce San Pietro: un’apparizione fulminea, non immortalata.

Nel mare, poi, ha incontrato esseri che sembrano provenire da un altro mondo. Le balenottere, più lunghe di molti dinosauri, solcano i mari con maestosità. I banchi di lampughe, creature camaleontiche, trasformano il proprio colore in base all’umore: argentate quando sono calme, verdi quando si agitano; i mutamenti si abbinano spesso ad un linguaggio di luci mutevole e affascinante.

Anche gli squali abitano il nostro Mediterraneo, tra cui la verdesca, “scheggia di cielo caduta sott’acqua”. Elegante, timida, completamente inoffensiva, ma ancora oggi vittima di stereotipi e timori infondati.

La fotografia naturalistica non è fatta di scatti fortunati, ma di attese, dedizione e pazienza. Colombo ricorda l’attesa per i cervi volanti, insetti crepuscolari dalle mandibole imponenti. “Fotografarli è una sfida: lucidi, riflettono il flash, mangiano con una lingua setolosa che sembra un pennello”.

Nel tempo ha immortalato creature elusive e schive: vipere, riconoscibili dal disegno unico della pelle come un’impronta digitale; gamberi di fiume blu, rari esempi di mutazioni genetiche; gufi comuni, che si lasciano osservare solo in inverno; e infine tassi — “la mia croce: sfuggenti, notturni” —, insieme a gatti selvatici, enigmatici e difficili da avvicinare. Ognuno di loro racconta una storia complessa, fatta di adattamento, silenzio e necessità di rispetto.

Raccontare ecosistemi

“La mia missione non è scattare ritratti, ma raccontare ecosistemi. Non basta proteggere un animale: bisogna proteggere il suo posto. E il racconto deve partire dal basso, dalla gente che in quei luoghi ci vive”.

Oggi l’etica è la sfida più grande. I social come Instagram premiano le immagini ravvicinate, i primi piani. Ma quelle foto, spesso, non includono gli ambienti e il click baiting non rende giustizia al lavoro e all’attesa: a volte per una foto venuta ci sono decine di tentativi falliti, notti in bianco, errori.

Il docente spiega “da sempre studio ogni soggetto prima di andare sul campo. Leggo tutto. Sul campo imparo il resto, quello che il manuale non dice. Come ho fatto per il tasso descritto solo da manuali britannici: qui gli stessi esemplari hanno comportamenti diversi, è tutto da ricostruire come un detective”.

Il razzismo zoologico

La co-conservazione è il futuro. Ma se non coinvolge chi quei luoghi li abita, fallisce. Anche perché siamo ancora vittime di un razzismo zoologico: amiamo gli animali “pucciosi”. Ma il pesce pagliaccio, pur non minacciato, ha più fondi di specie meno colorate in pericolo. E lo scoiattolo grigio, dannoso per l’ecosistema, è intoccabile perché “carino”.

“Non sono specializzato. Racconto tutte le storie. Anche quelle degli scorpioni e dei calabroni, che vivono otto anni nascosti nei tronchi, per poi restare pochi mesi alla luce” spiega Colombo, aggiungendo che dal 2018 racconta creature e paesaggi sommersi, con la consapevolezza che ogni viaggio ha un impatto, cercando di ridurlo evitando spostamenti inutili, non pubblicando luoghi troppo accessibili.

Cambiare scala cambia ogni trama. Anche in un giardino si trova la savana, la giungla. Basta saper guardare. Anche andando negli stessi posti, si scoprono sempre cose nuove. E, alla fine, sono le storie a fare la differenza. Non l’attrezzatura. Non il numero di like. Ma la voglia di raccontare.

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Pubblicato il 08 Maggio 2025
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