Il varesino Aurelio Filippini confermato componente del Comitato Etico nazionale: è l’unico infermiere
Dipendente dell'Asst Sette Laghi dove lavora nella centrale operativa territoriale, è stato uno dei 4 componenti a ottenere la riconferma. Tra i suoi compiti l'analisi deontologica di sperimentazioni mediche ma anche di comunicazione

È uno dei 4 componenti che è stato riconfermato. L’unico che rappresenta gli infermieri. È stata una grande soddisfazione per Aurelio Filippini la notizia della nuova nomina, dopo il primo triennio, nell’incarico di membro del Comitato Etico Nazionale per le sperimentazioni cliniche degli enti pubblici di ricerca e degli altri enti a carattere nazionale. Si tratta di uno dei tre organismi etici nazionali istituiti per legge nel 2022 e operanti sotto l’egida del Ministero della Salute, insieme al comitato etico dell’AIFA e a quello per la sperimentazione pediatrica.
«Sono uno dei quattro componenti su quindici del precedente triennio che sono stati confermati. Questo per me ha un grande valore, anche simbolico».
L’esperienza maturata sul campo
«Nel primo mandato ho dovuto innanzitutto comprendere bene il contesto in cui mi trovavo. Ma ho trovato subito un gruppo di professionisti straordinari, capaci e accoglienti, dove contava ciò che portavi in termini di contributo, non il titolo che avevi. Essere riconosciuto e valorizzato come infermiere in un ambiente così autorevole è stato molto significativo».
Un valore aggiunto riconosciuto anche dal presidente del Comitato, Carlo Petrini, figura di rilievo dell’Istituto Superiore di Sanità e del Comitato Nazionale di Bioetica: «Ci teneva che ci fosse anche un rappresentante della professione infermieristica, per garantire un punto di vista vicino ai pazienti, centrato sull’assistenza e sul linguaggio comprensibile. Anche questo ha influito sulla mia riconferma».
Cosa fanno davvero i comitati etici?
«Spesso i comitati etici vengono percepiti come enti lontani, burocratici. In realtà il lavoro che svolgiamo è fondamentale. Nel nostro caso non ci occupiamo della sperimentazione farmacologica – che compete all’AIFA o al comitato pediatrico – ma di tutte le altre sperimentazioni cliniche: dispositivi, modelli assistenziali, strumenti diagnostici, modalità di comunicazione con pazienti fragili. Tutto ciò che può impattare sulla cura e sull’assistenza passa da noi».
Ogni proposta viene analizzata con attenzione: «Valutiamo se il disegno dello studio è solido, se la ricerca è ben strutturata, se i risultati attesi sono rilevanti e, soprattutto, se non ci sono rischi per le persone coinvolte. È un lavoro dietro le quinte, ma necessario affinché ciò che viene poi adottato nei servizi sanitari sia sicuro ed efficace».
Tecnologia, infermieri di comunità e linguaggi accessibili
Tra i progetti valutati, alcuni si sono distinti per originalità e impatto: «Ricordo una sperimentazione su un esoscheletro robotico per la riabilitazione di pazienti post-ictus o in stato post-comatoso. Una tecnologia avanzata, utilizzabile sia dal paziente che da operatori o familiari, che consente di mantenere attive le articolazioni. È stato uno dei progetti più innovativi e complessi da analizzare».
Ma non sono mancate ricerche su modelli di assistenza infermieristica, linguaggi semplificati per persone con disabilità gravi e modalità di presa in carico nella medicina generale.
Il punto di vista infermieristico e la sfida della comprensibilità
«Nel comitato rappresento due dimensioni: quella infermieristica e quella delle associazioni di malati, in virtù della mia presenza nel comitato scientifico di Caos. Questo mi permette di portare un’ottica molto concreta: chiedermi sempre a cosa serve ciò che valutiamo, che impatto ha sulla vita delle persone».
Un focus centrale è quello sul consenso informato: «Spesso gli scienziati inseriscono nel documento informativo passaggi troppo tecnici, tradotti velocemente, poco comprensibili. Uno dei miei compiti è proprio quello di rendere quei testi leggibili, chiari, umani. Capire il consenso informato è fondamentale per esercitare davvero la propria libertà di scelta».
Etica e scienza: una relazione necessaria
Durante la pandemia il dibattito sull’etica è stato spesso sommario. «Nel nostro comitato, invece, abbiamo cercato di approfondire il tema, anche attraverso iniziative pubbliche. La sperimentazione scientifica non può prescindere da una solida base etica. Non tutto ciò che viene proposto ha realmente come fine il benessere delle persone. In qualche caso, negli anni, abbiamo dovuto rimandare o bloccare studi che non rispondevano ai criteri fondamentali».
Le decisioni vengono prese sempre in modo collegiale: «Le discussioni non mancano, ciascuno ha competenze diverse. Ma alla fine il parere che esce è condiviso da tutto il gruppo. Non escono mai valutazioni spaccate».
Un nuovo ruolo nella sanità territoriale
Oggi Aurelio, dopo aver indossato i panni dell’infermiere di corsia in pieno covid guidando l’equipe di chi faceva i tamponi ai degenti, lavora come infermiere nella Centrale Operativa Territoriale dell’ASST Sette Laghi: «È un cambio importante: mi permette di vedere cosa succede prima e dopo il ricovero, di avere una visione più ampia e più legata alla comunità. È una prospettiva che mi sta arricchendo molto».
Un cambiamento che rispecchia anche le sfide del sistema sanitario. «Abbiamo costruito un sistema tutto incentrato sugli ospedali, trascurando la sanità territoriale, in particolare al Nord. Ora si prova a recuperare, ma c’è ancora tanta strada da fare».
Il futuro passa dalle mani di chi cura
«Per garantire la sostenibilità del sistema sanitario serve un investimento deciso sul personale. Lo diciamo da anni: la salute di una nazione passa dalle mani di chi la cura, non dalle leggi. Le norme devono facilitare, non sostituire l’azione».
E conclude con un appello: «Serve una campagna vera, forte, orgogliosa sulle professioni sanitarie. Dobbiamo restituire prestigio sociale al ruolo dell’infermiere. I giovani non scelgono questo lavoro se non ne percepiscono la dignità, la bellezza, la forza. Oggi vedono solo i turni massacranti, i bassi stipendi. Ma fare l’infermiere è una professione di cui andare fieri. Dobbiamo raccontarlo meglio. Anche questo è un gesto etico».
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