New York, Pechino e la lattuga sul marciapiede: due viaggi e un mondo che si connette

Di Giuseppe Geneletti e Silvia Armanetti

new york pechino

Abbiamo pranzato insieme, io reduce da un lungo viaggio sulla costa est degli Stati Uniti, lei appena tornata dalla Cina. Due percorsi diversi, due esperienze profonde. Abbiamo cominciato a raccontarci quello che avevamo visto: le città, i paesaggi, i cibi, e pian piano il discorso si è spostato su ciò che non si vede subito: le regole invisibili, i gesti quotidiani, le relazioni, le differenze. E soprattutto, quel filo rosso che unisce tutto: la tecnologia.

La regola invisibile sulla 46ª strada.

Ogni mattina, sul marciapiede della 46ª strada ovest, a New York, davanti a un ristorante italiano di lusso, notavo la stessa scena: cassette di verdura fresca abbandonate sull’uscio, in attesa di essere ritirate. Nessuna sorveglianza. Nessuna catena. Nessuno a difenderle. E attorno, persone senza fissa dimora, numerose in quella zona, che non le toccavano nemmeno. Un codice non scritto, ma ben compreso da tutti: quello è cibo destinato al ristorante, e nessuno deve sfiorarlo.
In un contesto urbano che è un miscuglio continuo di rumore, disordine e solitudine, questa scena ordinata e rispettosa mi ha colpito più di mille musei. Negli Stati Uniti, la regola vive dentro le persone, non si urla. L’ordine nasce da un patto implicito tra libertà e responsabilità individuale. E la tecnologia, come vedremo, non fa altro che potenziare questo patto.

Chiese e artisti di strada digitali.

Sempre a New York, un altro dettaglio mi ha colpito: le offerte in chiesa si fanno con lo smartphone. Niente cestini passati tra i banchi: basta avvicinare il telefono a un tabellone elettronico e il dono è fatto. Discreto, silenzioso, tracciabile. Lo stesso vale per gli artisti di strada, che ancora girano con il classico cilindro per le banconote, ma espongono con orgoglio il proprio QR code per chi preferisce donare via PayPal, o Apple Pay. A chiusura del viaggio, all’aeroporto di Newark, abbiamo vissuto un’altra scena-simbolo: dovevamo acquistare cibo e bevande per il volo. Abbiamo raccolto quello che ci serviva… e ci siamo rese conto che non c’era nessuno alla cassa. Solo telecamere e un terminale self-checkout. Un chiosco completamente automatizzato. Paghi, prendi, te ne vai. Nessuna interazione umana. Ancora una volta, la fiducia è riposta nella capacità dell’individuo di agire correttamente,
e la tecnologia esiste per renderlo completamente autonomo.

La Cina: ordine che viene dall’alto.

La mia collega, invece, mi ha raccontato del suo viaggio in Cina, tra Pechino, Pingyao e il sito dell’Esercito di Terracotta. Ciò che l’ha colpita forse più della storia millenaria è stata l’efficienza tecnologica onnipresente. In Cina, gli stessi controlli biometrici che da noi trovi solo in aeroporto sono applicati per entrare in metropolitana, al museo, in ufficio, e molti altri luoghi pubblici. Lo smartphone è la chiave di tutto: senza Alipay o WeChat non si paga, non si accede, non si vive.

Un aspetto particolare: la metropolitana offre carrozze differenziate per temperatura (cold e cool), ma quello che non puoi scegliere è la distanza: le persone mangiano ovunque, parlano a voce alta, stanno vicinissime, anche tra sconosciuti. Il concetto di spazio personale, tanto caro all’Occidente, lì semplicemente non esiste.

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Acqua ghiacciata vs. acqua calda.

C’è una differenza che ci ha fatto sorridere, ma che dice moltissimo: negli Stati Uniti si beve tutto con ghiaccio, anche in pieno inverno. In Cina, al contrario, l’acqua si beve calda, sempre (e il mito che si beva sempre tè è proprio una leggenda metropolitana). Per gli americani, il freddo è rinfrescante, energizzante. Per i cinesi, il calore è terapeutico, favorisce l’equilibrio del corpo: non immettere bevande a temperatura inferiore a quella del corpo. Una cultura cerca la performance, l’altra la prevenzione. E noi italiani? Forse ci regoliamo a istinto, secondo stagione, umore e compagnia.

Lingua, corpo, spiritualità.

In Cina, anche la comunicazione passa attraverso il telefono.
Fuori dalle grandi città, quasi nessuno parla inglese, ma questo non è un problema: basta Google Translate. Due telefoni diventano interpreti tascabili. Nessun imbarazzo. È normale.

Anche il corpo si legge in modo diverso.

Per un dolore al braccio, la mia collega ha ricevuto una diagnosi energetica: meridiani, organi collegati, emozioni. Niente antinfiammatori. Solo una visione olistica e antica, che unisce medicina, filosofia e spiritualità. Mentre negli States l’ibuprofene è un complemento da borsa immancabile.
In Cina, la religione è altrettanto fluida: taoismo, buddhismo e confucianesimo convivono, senza affiliazioni rigide. Non si appartiene, si pratica. La spiritualità si vive, non si dichiara, con ausilio di sciami di droni a fare da coreografia.

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Lo smartphone come filo universale.

Ma c’è una cosa che unisce tutto: lo smartphone.
Tutti ce l’hanno. Anche i poveri, anche i senzatetto. È l’unico oggetto veramente universale. In Cina è la chiave d’accesso al sistema. Stati Uniti è una leva per la libertà personale. In entrambi i casi, senza smartphone non sei nessuno. Non solo disconnesso: invisibile.

Occhi ovunque: la sicurezza invisibile e l’algoritmo che vede prima.

Lunedì mattina, alle 10:30, ero a Times Square. Ho assistito all’arrivo degli artificieri per un pacco sospetto. L’area è stata evacuata, isolata.
Dopo un’ora, il pacco è stato dichiarato innocuo. Ma intanto, la macchina tecnologica si era già attivata.
Alle 14:11, il sospetto, un giovane del Bronx, era stato identificato, rintracciato e arrestato.

Pochi giorni prima, però, ero stato al Cimitero nazionale di Arlington: lì, l’ingresso è sorvegliato come un aeroporto. Scanner, perquisizioni, solennità. Invece davanti alla Casa Bianca, puoi camminare liberamente. Nessuno controlla il tuo zaino. Nessuna perquisizione. Ma sei osservato, tracciato, analizzato, previsto, già a centinaia di metri di distanza, prima ancora di arrivare. La vera sicurezza non si mostra. È invisibile, algoritmica, preventiva. E mentre in Cina è ovunque e normalizzata, in America è teatrale nei luoghi del potere e automatizzata altrove.

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Due ideologie trasformate.

In fondo, ciò che emerge da questo confronto non è solo culturale. È ideologico. L’America discende dal capitalismo individualista. La Cina da una tradizione collettivista, ora declinata in chiave tecnologica. Da un lato, libertà dentro un sistema ordinato e strutturato, come la metafora del reticolo di strade di Manhattan. Dall’altro, ordine che garantisce stabilità. Oggi, entrambe sono ibridate e interconnesse, e parlano la stessa lingua: quella della tecnologia.

E noi? Forse l’Italia e l’Europa sono sospese nel mezzo.

Non deteniamo il codice, ma abbiamo ancora la parola. Non guidiamo gli algoritmi, ma leggiamo meglio le sfumature, e non mettiamo la glassa di aceto balsamico sullo gnocco fritto. Forse non dobbiamo scegliere un modello. Il nostro compito è osservare, comprendere, raccontare. E chiederci: chi comanda davvero, nel mondo connesso?

Una lattuga, un telefono, una ciotola di noodles, Così, nel mondo che cambia, restano tre immagini: una lattuga sul marciapiede di Manhattan, che nessuno ruba; una mano che sfiora un tabellone elettronico per fare un’offerta in chiesa; una ciotola di noodles fumante, bevuta in piedi, per strada, in Cina.
Due civiltà. Tanti codici. Una sola connessione invisibile. E due persone sedute a pranzo, che si raccontano il mondo.

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Pubblicato il 20 Agosto 2025
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