Come il gatto Geppo ha ispirato l’accosto a Ricciolino
Roberto Bramani Araldi narra come Raffaello, detto Lino da Rcciolino, si lasciò ispirate dalla maestria del suo gatto
Se c’era una giocata che Lino sapeva eseguire perfettamente questa era la bocciata: l’azione lo esaltava a prescindere dall’intervento che si apprestava a perfezionare, si trattasse d’eliminare un accosto fastidioso dell’avversario, oppure che si dovesse ricorrere a un salvataggio per una situazione sfavorevole creatasi durante lo svolgimento della singola “mano”.
Era un lancio molto radente il terreno di gioco, tanto che sovente l’arbitro andava a controllare che la battuta avvenisse oltre i limiti stabili dal regolamento, era velocissima e altrettanto potente e il rumore provocato dallo scontro fra le bocce riusciva a soverchiare senza alcuna difficoltà i brusii che si elevavano a commento della scelta di gioco: era uno spettacolo elargito al pubblico, ma soprattutto a sé stesso.
Tuttavia, appena udiva qualche incitamento e apprezzamento a Lino, non riusciva a nascondere un fastidio automatico, sebbene un briciolo di buona creanza ne impedisse una palese esternazione.
Eh sì! Lino era un diminutivo, esattamente di “Ricciolino”, solo che lui era praticamente calvo e il soprannome che gli avevano appiccicato era irrisorio, affibbiato per la legge dei contrasti.
Ebbene il suo eccellere nel tiro non aveva accantonato il suo primo, intenso amore che aveva scatenato la passione per lo sport delle bocce: l’accosto.

Da dove era nato, visto che quando giocava in coppia o in terna era sempre delegato a fare il “raffatore”?
Bisogna sapere che Raffaello – quello era il suo vero nome – viveva solitario in un discreto appartamento allietato da Geppo, un meraviglioso seppur comune gatto soriano, con le sue brave strisce marrone scuro alternate ad altre abbastanza simmetriche di colore più chiaro, anche sulla coda, e la sua immancabile M ben visibile fra gli occhi a cavallo del nasino.
Geppo adorava rincorrere le palline, specialmente quelle confezionate da Raffaello comprimendo in modo adeguato la carta stagnola; allorché gliene veniva lanciata una si precipitava a rincorrerla colpendola con le zampine in un immaginario, travolgente dribbling calcistico, riuscendo a evitare fantastici, supposti avversari.
Ma il micio si stancava presto del gioco e ne inventava un altro, di sicuro per lui più suggestivo: si avvicinava quatto alla sua sferetta e la sfiorava con dolcezza con piccoli urti per avvicinarla a un bersaglio a scelta, una gamba di una sedia o a quella più consistente del tavolo, sempre con l’intento di unirla all’oggetto prescelto. Una volta conseguito lo scopo, la pallina era afferrata dolcemente con i denti, Geppo si allontanava per un buon tratto, poi la scena si ripeteva, riavvicinando l’oggetto del suo gioco agli altri fissi che al momento l’attiravano.
Fu così che Raffaello ricevette l’ispirazione per l’accosto, si lasciò conquistare dalla maestria di Geppo e attraverso il suo insegnamento nacque la malia per il gioco delle bocce.
Poi si sa come vanno a finire i primi amori: non si dimenticano mai, si approda in porti diversi nel corso dell’esistenza e Raffaello perse i capelli, diventò sarcasticamente Ricciolino, cominciò a scoprire il piacere della bocciata e la scalata ai primi posti del ranking, ma Geppo no, il bel soriano l’aveva doppiamente conquistato e sebbene se ne fosse andato, rimase lì, nella sua mente, con le sue zampine e una pallina di stagnola da accostare, dolcente alle gambe delle sedie.
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