Ad Azzate il ferro si trasforma in design, con la terza generazione di Officine Livietti
Conversazione a Materia d'Impresa con Andrea Livietti, terza generazione dell'azienda
C’è un mestiere che nella nostra immaginazione si muove ancora tra incudini, fuochi e martelli incandescenti. È il lavoro del fabbro, uno dei più antichi dell’artigianato. Eppure, ascoltando la storia delle Officine Livietti di Azzate, diventa subito chiaro che oggi quel mestiere ha preso direzioni nuove, inaspettate e modernissime.
L’azienda nasce nel 1961 con il nonno di Andrea Livietti – il protagonista della puntata odierna di Materia d’Impresa – in un territorio in cui c’era bisogno di fabbri classici: strutture per le aziende manifatturiere, carrelli, supporti, elementi funzionali per la produzione industriale. Con suo padre e suo zio arriva una seconda fase: l’artigianato al servizio dell’edilizia, i lavori per le case, le manutenzioni e l’assistenza tecnica su ciò che le Officine avevano installato decenni prima. Una storia di continuità, come tante nella provincia operosa.
Poi entra in scena la terza generazione e cambia tutto.
L’archifabbro: quando la progettazione incontra la bottega
Andrea Livietti si definisce – o meglio, è stato definito – un archifabbro. Una parola leggera ma precisa, perché racchiude la sua doppia natura: fabbro e architetto.
Il suo apporto all’azienda è proprio questo: portare il ferro dentro le case, trasformarlo da elemento strutturale a oggetto di design. Librerie, scale, tavoli, lampade, pareti vetrate con profili in metallo. Oggetti unici, spesso nati da una foto, un’idea, una suggestione condivisa con architetti, interior designer o privati.
Dove prima si costruivano cancelli e recinzioni, oggi le Officine Livietti progettano pezzi che entrano negli appartamenti di Milano, nelle case di Torino o Bolzano, nei locali contemporanei. E, in un caso emblematico, anche in uno spazio creativo di Parigi, dove è stata installata una gigantesca altalena di ferro larga sei metri e alta tre: un oggetto scenografico pensato per un ambiente “instagrammabile”, a dimostrazione che anche il ferro può diventare racconto.
Che cos’è un artigiano oggi?
Nella riflessione di Livietti c’è qualcosa che vale ben oltre il suo settore. Per lui l’artigiano è “colui che collega il pensiero al fare”: una definizione semplice ma molto attuale. È il passaggio dall’idea alla materia, dalla visione al pezzo finito. Non un esecutore, ma un creatore.
Lo stesso vale per la figura del fabbro, che non è più solo colui che forgia ferro sul fuoco. O almeno non solo. Oggi il fabbro: disegna al computer, progetta forme e strutture, usa macchinari manuali e digitali, collabora con altri professionisti per lavori complessi.
La forgia esiste ancora, «ma pochi la sanno usare» ammette Livietti. Il mestiere si è spostato più sul concetto, sulla composizione, sulla precisione progettuale. Ma resta artigianato, perché resta unico ciò che nasce da una combinazione di competenza, creatività e manualità.
Fare rete per innovare
Uno dei tratti distintivi del percorso di Livietti è il lavoro in rete. Dai progetti come Il Giardino di Mara (in ambito BNI) a esperienze di co-creazione come Ricrea Atelier, c’è un filo rosso: mettere insieme competenze diverse, professioni differenti, visioni complementari.
Per un fabbro – tradizionalmente auto-sufficiente, a volte chiuso nella propria officina – non è un passaggio scontato. Ma oggi collaborare con falegnami, vetrai, studi di architettura permette di costruire “pezzi unici” per clienti che cercano soluzioni complesse e personalizzate.
È un modo di lavorare che trasforma i concorrenti in colleghi, le botteghe in ecosistemi e l’artigianato in un luogo di innovazione continua.
Il futuro del mestiere: tra apprendisti e nuove strade
La questione delle nuove generazioni non è semplice. In Officine Livietti oggi lavorano cinque persone, con colleghi tra i 20 e i 29 anni: un piccolo segnale di rinnovamento in un settore dove fare esperienza richiede anni.
Non c’è ancora una quarta generazione familiare, e Andrea non ne fa una questione obbligata. Piuttosto, è convinto che la porta sia aperta a chiunque abbia passione e voglia di imparare: «In quattro o cinque anni si può diventare un ottimo fabbro» spiega.
E chissà: magari proprio da chi oggi studia design della comunicazione o discipline creative nasceranno i nuovi artigiani del ferro. Esattamente come fanno, da oltre sessant’anni, le Officine Livietti.
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