Amani for Gede: accorciare le distanze, il senso di una scuola nuova
Sono gli ultimi giorni prima delle vacanze alla scuola di Gede, ma la squadra degli insegnanti è molto concentrata, si lavora, si pensa, si propone e ci si confronta su come migliorare in vista della costruzione della nuova scuola che ospiterà oltre 130 bambini
Ultimi giorni prima delle vacanze, la scuola estiva di Gede vive gli ultimi giorni tra i giochi dei bambini, i canti, il porridge a colazione, il fuoco da preparare, i progetti da costruire per il prossimo anno scolastico, per la scuola futura che nascerà, ma ancora non si sa bene quando vedrà la luce.
La squadra degli insegnanti è comunque molto concentrata, si lavora, si pensa, si propone e ci si confronta su come migliorare le cose con quel che c’è: le preziose donazioni dall’Italia, due edifici fatiscenti da cui ricavare sei classi, una cucina tribale, un cortile in convivenza con un deposito di materiali edili e tanta tanta voglia di cambiare in meglio tutto quanto.
Catherine, Sarah, Gladys, Alex e Francis sembrano quasi fratelli per come si approcciano con i ragazzi: hanno tutti dai 28 ai 40 anni, ognuno con un proprio punto di vista e un proprio carattere: Catherine è dolcezza fatta persona e tanto brio, perfetta con i bambini più piccoli. Gladys e Sarah, molto materne e aperte di vedute. Francis e Alex sono gli unici due uomini del personale della scuola, il primo molto profondo nelle sue riflessioni, il secondo molto bravo a fare squadra.
Una scuola nuova è una necessità, lo pensano tutti coloro che lavorano con i bambini di Gede. E non è soltanto di fronte ai buchi nel pavimento delle aule, alle lavagne consumate, alla cucina all’aperto fatta di quattro pali e tre lamiere: ma è un’esigenza di crescita per questi bambini che partono dal basso, molto in basso nella scala sociale di questa terra, ma che hanno diritto alle proprie opportunità. «Io mi immagino una scuola che consenta davvero a questi ragazzi di esprimersi al meglio per quel che sono, per il loro valore che è unico. Io non amo la logica della competizione, dobbiamo pensare alla crescita come persone di questi bambini».
Gladys guarda i ragazzi scatenarsi nella polvere in cortile e immagina un luogo diverso: «Una scuola nuova dovrà per forza avere un playground dignitoso. Spazi sicuri e più belli perché anche il gioco è importante e aiuta a crescere».
Catherine, guardando al futuro, non può non notare come il mondo stia andando a una velocità differente rispetto a questi ragazzi: «Anche noi, in una scuola nuova, dovremmo cominciare a utilizzare e fare usare laptop e devices. Il mondo è sempre più digitale e qui siamo lontanissimi da quella realtà».
Francis, sempre in quella direzione, offre uno spunto più concreto: «Un piccolo laboratorio di computer sarebbe un sogno, ma se guardi a una scuola nuova, ci dobbiamo arrivare prima o poi. E quando avremo una sede nuova, che non sarà qui sulla strada principale, ma in un’altra zona più verso le campagne, sarebbe bello pensare anche a uno scuolabus per consentire anche ai bambini che vivono più lontano di poter raggiungere la scuola nei tempi necessari».
Un’idea comune tra tutti i docenti è “l’accorciare le distanze”. In tutti i sensi, sia tra questi ragazzi e il mondo fuori, sia tra di loro. Alex è più esplicito: «Non tutti apprendono allo stesso modo, alcuni hanno problemi, hanno limiti per varie ragioni o situazioni in famiglia. Per cui, qui a scuola, i bambini hanno per così dire “velocità differenti” nell’imparare. E noi non vogliamo lasciare indietro nessuno: a questo riguardo, sarebbe un sogno poter avere un giorno un insegnante che possa occuparsi di questo, dei bambini che rimangono indietro nell’apprendimento».
Nel frattempo, il loro accorciare le distanze si concretizza anche con un corso d’italiano che, in questi giorni, stanno facendo sotto la guida di Francesca, la presidente di Merisha for Kenya. Imparare l’italiano, a Gede, non è un esercizio fine a se stesso, è una scelta importante per una zona in cui vivono molti italiani che gestiscono attività economiche e turistiche. In più, l’italiano è una lingua molto utile per un’associazione nata in Italia, appunto, e che sta crescendo con l’apporto di tanti volontari che stanno venendo qui a scuola.

Sguardi sul futuro, gli occhi di questi giovani insegnanti li vedi andare oltre, immaginando, ma con l’energia giusta per dare forma alla idee. È il tempo dei progetti e dei pensieri, ci sta. Fuori intanto, è la gioia semplice e geniale dei bambini a far rumore. Sotto un’enorme pianta di chinino, la pianta che dicono in Kenya “cura mille malattie”, la vita è fatta di colori e fantasie senza limite. Oggi, per esempio, s’intrecciano foglie di palma per farne una corona o un collare prezioso. Più in là si costruiscono capanne con materiali di scarto, in mezzo si tirano calci a un pallone, mentre Elina, la bidella tuttofare si occupa di un bambino trovatosi sulla traiettoria sbagliata di un calciatore, tra piede e pallone, prendendosi una pedata.
All’altro lato del cortile si preparano canti e balli di Natale. E più di un bambino, con un po’ di tristezza, pensa che sta per iniziare la vacanza: che vorrà dire rimanere nei villaggi, a casa. Liberi sì, ma senza gli amici qui, il porridge, la polenta delle signore Chikutu, il sorriso di Esther. Qualcuno ha voglia di mare: è a meno di dieci chilometri da qui, ma molti di questi bambini l’hanno visto soltanto in occasione di una gita meravigliosa con la scuola, tre mesi fa. Sotto la pianta del chinino, nonostante tutto, si sta meglio che in qualsiasi altro posto, qui: perché si è tutti assieme.

Per contribuire al progetto: AMANI FOR GEDE – La scuola della speranza – Merisha for Kenya
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