Festival Glocal, a Varese un dialogo su corpi e diritti con Arcigay e GiULiA giornaliste
Riflessioni, testimonianze e strumenti concreti per migliorare la narrazione dei corpi e delle identità di genere nei media e nel linguaggio pubblico, tra errori frequenti e nuove consapevolezze
Un incontro intenso quello che si è svolto giovedì 6 novembre a Varese, nell’ambito del Festival Glocal, dal titolo “Materia sensibile. Corpi che reclamano diritti”. Un confronto a più voci tra filosofia, attivismo, giornalismo e volontariato sui temi dell’identità di genere, della rappresentazione nei media e dei diritti delle persone LGBTQIA+.
Il corpo come luogo politico
L’incontro è stato promosso dal Centro di Servizio per il Volontariato dell’Insubria, con l’intento di creare uno spazio di riflessione condivisa: «Abbiamo pensato al corpo come spazio di esperienza, vulnerabilità ma anche di resistenza e diritti» – ha spiegato Eva Pugina, responsabile della comunicazione del CSV di Varese. L’obiettivo era mettere in dialogo attivismo, volontariato e giornalismo per interrogarsi su come la società accoglie i corpi e le soggettività, e su come li racconta.
Giornalismo e stereotipi di genere
Paola Rizzi, vicepresidente di GiULiA giornaliste, ha offerto una panoramica ampia e documentata su come il giornalismo italiano rappresenta il corpo femminile e, più in generale, le donne e le persone LGBTQIA+. Dalle foto scelte per illustrare le notizie, al linguaggio impiegato nei titoli, fino alla scelta delle fonti esperte e delle firme in prima pagina: «Solo il 25% delle firme nei quotidiani nazionali sono femminili, e le voci di donne intervistate o citate sono ancora meno».
Un’analisi puntuale che ha toccato esempi di cronaca recenti, come il modo in cui vengono raccontati i femminicidi o le storie di donne sportive, troppo spesso ridotte a oggetto estetico piuttosto che a protagoniste. «Il corpo delle donne continua a essere messo in primo piano anche quando non c’entra nulla con la notizia» – ha sottolineato Rizzi – «serve maggiore consapevolezza da parte della stampa, perché il linguaggio può contribuire alla violenza oppure al suo superamento».
Parole che riconoscono, parole che feriscono
Natascia Maesi, giornalista e presidente nazionale di Arcigay, ha portato il punto di vista dell’attivismo LGBTQIA+ con un intervento ricco di esempi e strumenti per un’informazione più rispettosa. «Spesso sembriamo ossessionati dalle parole, ma è perché le parole danno forma all’esistenza. Nominarci significa riconoscerci» – ha affermato.
Ha poi illustrato alcuni errori ricorrenti nei media quando si parla di persone trans: l’uso improprio dei pronomi, la spettacolarizzazione dei corpi, il sensazionalismo, l’insistenza sul passato anagrafico. «Non si dice “un trans”, ma “una donna trans”, e non si parla di “vero nome” ma di nome assegnato alla nascita». L’attenzione al linguaggio è un atto di cura, oltre che un dovere professionale.
Un lessico per la complessità
L’incontro ha messo in evidenza la necessità di arricchire il lessico giornalistico e sociale con strumenti che sappiano raccontare la complessità delle identità. Dalla realtà delle persone intersex a quella delle famiglie omogenitoriali, fino alle esperienze delle persone transgender e non binarie: «Serve un linguaggio che non sia solo corretto, ma che faccia spazio alle soggettività, che non le renda invisibili o deviate», ha detto ancora Maesi.
Un concetto ripreso anche da Paola Rizzi nel sottolineare come «la nostra società continui a trattare le donne e le soggettività marginalizzate come eccezioni, come minoranze, anche quando sono la maggioranza». Da qui l’appello a un cambiamento culturale profondo, che parta anche dalla formazione professionale.
Corpi che parlano, reti che resistono
L’incontro si è concluso con uno scambio di domande e riflessioni con il pubblico, tra cui molti operatori del volontariato e giornalisti locali. È emerso il bisogno di comunità accoglienti e di informazione responsabile, in grado di dare voce senza distorsioni. «La nostra risposta alla violenza simbolica e materiale passa attraverso le reti, la visibilità e l’alleanza tra soggetti diversi» – ha ricordato Maesi prima di lasciare l’incontro.
L’appuntamento ha rappresentato un momento prezioso per riconoscere la centralità del corpo come materia sensibile, ma anche come soggetto politico, capace di reclamare diritti e ridefinire narrazioni.
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