Busto Arsizio tra i centri dello studio AVALON: nuove speranze per i pazienti con leucemia refrattaria
La dottoressa Todisco e la sua équipe protagoniste della ricerca che ha coinvolto 32 centri ematologici italiani e 147 pazienti ad alto rischio
Risultati incoraggianti emergono dallo studio italiano AVALON, che ha coinvolto 32 centri ematologici tra cui l’Ospedale di Busto Arsizio, protagonista con l’équipe guidata dalla dottoressa Elisabetta Todisco, Direttore della Struttura Complessa di Ematologia e Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche.
La ricerca ha valutato retrospettivamente l’efficacia della combinazione di agenti ipometilanti (HMA) e venetoclax (VEN) come terapia di salvataggio pre-trapianto (cosiddetto bridge to transplant) nei pazienti affetti da leucemia mieloide acuta (AML) refrattaria o recidivante, una delle forme più difficili da trattare.
Il 28% dei pazienti ha potuto accedere al trapianto
Su una coorte di 147 pazienti, lo studio ha mostrato che oltre uno su quattro (28,3%) è riuscito ad accedere al trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (allo-HSCT) dopo il trattamento con HMA-VEN. Un dato particolarmente rilevante in una popolazione ad alto rischio.
«Risultati molto promettenti – commenta la dottoressa Todisco –. La nostra ricerca evidenzia come questa combinazione terapeutica possa favorire l’accesso al trapianto, migliorando le possibilità di remissione e di sopravvivenza anche in pazienti con prognosi severa».
Tra i pazienti che hanno raggiunto una risposta completa prima del trapianto, si sono osservati tassi di sopravvivenza globale e di remissione significativi, nonostante un tasso di mortalità non da recidiva relativamente alto, legato probabilmente all’intensità dei trattamenti e alla selezione della popolazione coinvolta.
Verso nuovi studi prospettici
I risultati dello studio suggeriscono che la combinazione HMA-VEN possa rappresentare una valida strategia di salvataggio pre-trapianto, anche in casi complessi. Una direzione che apre la strada a nuove indagini cliniche.
«I dati ottenuti – conclude la dottoressa Francesca Pavesi, ematologa dell’équipe e coautrice dello studio – potrebbero guidare futuri studi prospettici, utili a confrontare questa terapia con altre opzioni pre-trapianto e valutare anche strategie post-trapianto. Serve continuare a indagare per migliorare l’outcome a lungo termine dei pazienti ad alto rischio».
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