“Niente lezioni all’Insubria, ecco perché”
Il coordinamento dei ricercatori ha organizzato un incontro con i ragazzi per spiegare le ragioni della loro protesta contro la riforma Gelmini
Agli studenti e ai genitori chiedono almeno di capirli. È il passaggio più difficile. Spiegare a un ragazzo che quel giorno, a causa di una protesta, potrebbe non sostenere l’esame per il quale ha studiato non è affatto semplice. Ma i ricercatori dell’Insubria ci vogliono provare e per questo hanno organizzato un’assemblea pubblica il giorno 5 ottobre alle 14 in contemporanea a Varese (Aula Magna Facoltà di Scienze in Via Dunant 3) ed a Como (Aula Magna in Via Valleggio 11).
«Forse non sapete che molti (circa il 40%) di quelli che chiamate "professori" sono Ricercatori di ruolo o Ricercatori precari – scrive il coordinamento in una lunga lettera aperta agli studenti e alle famiglie – senza di loro l’Università non può garantire la formazione che si è impegnata a dare agli studenti. Forse non sapete che l’insegnamento non rientra tra i doveri dei Ricercatori: la legge in vigore (DPR 382/1980) prevede che nell’organizzazione universitaria i ricercatori abbiano il compito di fare ‘ricerca’ e didattica ‘complementare’ (esercitazioni). In realtà, a causa del cronico e crescente sottofinanziamento del sistema universitario, i corsi lasciati scoperti dai ‘veri’ docenti (Professori Associati e di I° fascia) sono stati affidati ai ricercatori, che li gestiscono da anni con dedizione e spirito di sacrificio, gratuitamente (i ricercatori in ruolo), o con retribuzioni da fame (la maggior parte degli insegnanti precari). Tuttavia, proprio l’insegnamento non rientra tra i criteri di valutazione dei Ricercatori, perché il loro compito è di stare in Dipartimento e fare Ricerca! E ulteriore problema è che la manovra finanziaria, con il blocco degli scatti stipendiali, inciderà in modo particolare sullo stipendio dei ricercatori più giovani con una perdita cumulata nell’arco della carriera attorno al 36%».
Baroni e fannulloni, la realtà è diversa – «Troppo spesso la televisione e i giornali danno un’immagine distorta dell’Università, parlando di "baroni", sprechi e fannulloni. Come ovunque, esistono le mele marce, ma fare di ogni erba un fascio serve solo a demolire un’istituzione di cui non possiamo fare a meno! L’Università attende una riforma che elimini i privilegi e gli sprechi, riconosca il merito e sostenga una didattica e una ricerca di qualità attraverso adeguati finanziamenti… »
Cosa cambia con la riforma – I punti che preoccupano maggiormente i ricercatori comaschi e varesini sono tre: «Questo governo, dietro il pretesto di una riforma, si limita a tagliare drasticamente i finanziamenti all’Università e alla ricerca pubblica: finora ha operato tagli di circa il 20%, che colpiscono non solo i docenti ma anche e soprattutto i servizi agli studenti. Quali saranno le conseguenze? Le tasse aumenteranno di circa il 20% già a partire dal prossimo anno accademico, e nei prossimi cinque anni raddoppieranno. Diminuiranno e quasi scompariranno le borse di studio, le mense, le case dello studente, verranno tagliati molti corsi di laurea e verrà esteso il numero chiuso a tutti i corsi di studio. Solo chi può permettersi di investire molto denaro, sia per ampiezza di reddito, sia indebitandosi, potrà accedere ad una formazione superiore di qualità».
Ricercatore, un mestiere a rischio – «L’Università è uno dei pochi luoghi dove in Italia si fa Ricerca, con risultanti eccellenti (rispetto agli investimenti), come confermato da indagini e statistiche internazionali (vedi http://ec.europa.eu/research/era/pdf/key-figures-report2008-2009_en.pdf, p. 63). Tutti sanno, o dovrebbero sapere, che la Ricerca è preziosa per il futuro del Paese. I Ricercatori sono in prima fila nel programmarla, coordinarla e svolgerla. Ma la nuova Legge sopprime senza motivo la figura dei Ricercatori a tempo indeterminato e introduce quella del ricercatore a tempo determinato. Dopo la laurea, 3 anni di dottorato di ricerca e diversi anni di precariato con assegni di ricerca o contratti atipici, se ne aggiungerebbero altri 6 come ricercatore a tempo determinato, senza alcuna garanzia di una futura assunzione. Chi potrà permettersi di affrontare una carriera universitaria a queste condizioni? È chiaro che i migliori non staranno ad aspettare, ma andranno ad arricchire le Università estere».
La protesta nazionale – «Ad essa stanno aderendo molti colleghi professori associati e ordinari perché il problema è di tutti, e molti sentono, come noi, che con questa riforma l’Italia rischia di diventare un paese culturalmente più povero».
Le proposte – La nostra protesta non vuole lasciare le cose come stanno, ma vogliamo cambiare il sistema universitario, in modo che sia più efficiente, più attento ai bisogni della Ricerca e dell’istruzione. Le nostre proposte sono pubbliche (vedi http://www.rete29aprile.it), ma il Ministero si rifiuta di ascoltarle: per questo abbiamo deciso di attuare questa forma di protesta così estrema.
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