Quando il jazz “da’ il tempo” all’organizzazione di impresa
Erika Leonardi, con l'aiuto della band Jazz degli Hopeless, ha mostrato agli imprenditori varesini un modo nuovo di vedere la propria azienda. Citando i grandi del jazz
Certe volte le migliori idee, le più brillanti connessioni, accadono di sera quando si è staccato dal lavoro, magari durante un concerto. E’ così infatti che Erika Leonardi, consulente aziendale e scrittrice ha scoperto come raccontare alle aziende, specie quelle del terziario e dei servizi, come lei vede la loro organizzazione.
«Sono consulente per le aziende da molti anni. Ma quello che racconto l’ho scoperto una sera, alle Scimmie, con mio figlio – psiega infatti – Siamo andati a vedere il jazz in quel noto locale di Milano e alla fine io ho esclamato: “che confusione, non si capisce nulla”. E mio figlio, guardandomi dall’alto in basso, mi ha risposto: “non hai capito proprio niente”. Il giorno dopo sono andata nelle librerie del centro di Milano a chiedere se c’era un libro sull’organizzazione interna di una band di jazz. Ovviamente non c’era, ma cominciai a studiare biografie e tutto quello che c’era per capire. E alla fine formulai la mia metafora: quella che vede le aziende, specie quelle terziarie e orientate al cliente, paragonabili a una band di jazz».
Una intuizione brillante, che è diventata libro pochi anni dopo, di cui hanno potuto godere ieri sera i partecipanti all’incontro organizzato da Fondimpresa e da Univa. Partendo da un presupposto: «Il concerto sinfonico spiega bene un processo manifatturiero: tutto deve funzionare come concordato preventivamente – spiega la Leonardi – Il paragone con il jazz riguarda piuttosto il settore dei servizi. Se devo produrre un divano, posso produrlo tal quale anche se il mio cliente non è presente. Se invece si parla di un servizio, conta invece moltissimo il cliente: se non entra nel ruolo giusto, il servizio non sarà mai buono. Quindi in questo caso si devono definire delle regole, ma con la consapevolezza chei metodi effettivamente usati e i risultati saranno differenziati perchè dipendono da una variabilità, quella appunto del cliente».
Improvvisare non è perciò una deviazione dal bene aziendale, ma un’indice di maturazione: «Nel jazz improvvisa l’artista che è maturo, che è padrone del suo strumento. E’ talmente preparato, talmente consapevole del suo agire, che può uscire fuori dalle righe. Improvvisare è espressione di padronanza. Il successo di un brano jazz si ha grazie alla capacità della band di suonare insieme, ma anche attraverso le espressioni individuali di ognuno – spiega l’esperta – Osservate i comportamenti della band: ci sono momenti di esecuzione corale e assoli. E in questi ultimi momenti chi ne è protagonista non esegue ma interpreta la sua parte, a vantaggio di tutti».
Un concetto che Erika Leonardi ha spiegato con l’aiuto, per l’appunto, di una band jazz: il quintetto degli Hopeless. Che ha saputo spiegare il concetto di innovazione semplicemente suonando una variazione di "O’ sole mio" e sottolineare l’importanza dell’espressione individuale interpretando uno stesso brano in versione standard e solistica: impressioni che valgono più di mille parole.
Mirabili sintesi dell’organizzazione aziendale, come quella magistralmente sintetizzata da un mostro sacro del jazz, Winton Marsalis, nella sua biografia: «il jazz ti ricorda che devi far funzionare le cose insieme agli altri. È difficile, ma si può fare. A volte ti tocca guidare, a volte ti tocca seguire. Ma non puoi rinunciare a nessuno dei due ruoli: perchè conta l’esperienza dei tuoi sentimenti solo se associata alla disponibilità di condividere quelli degli altri».
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