Il legale delle vittime: “Quella mattina a Varese Manfrinati aveva tutto il tempo di fuggire: non c’è legittima difesa”
La visione del video inchioda l’imputato alle sue responsabilità. La difesa cerca la carta della provocazione per limitare il danno

Ci sono almeno tre momenti in cui Marco Manfrinati (foto), già salito sull’auto dopo aver pesantemente accoltellato la sua ex moglie Lavinia Limido, a Casbeno un anno fa, avrebbe potuto scappare alla furia del padre di lei, Fabio, che con una mazza da golf aveva colpito più volte l’auto del genero.
Invece Manfrinati dal video proiettato venerdì in aula ha ingranato la marcia, anche la retro per cercare di investire e schiacciare il suocero. L’epilogo della vicenda ricostruita in aula in maniera per tutti dolorosa – le immagini sono devastanti – purtroppo sappiamo tutti quale sia stato: l’aggressore a cavalcioni della vittima in precedenza atterrata, oramai quasi senza vita, in un’aiuola; il coltello sporco di sangue ancora in mano per i fendenti portati al collo; i vasi sanguini del settantenne recisi; gli agenti delle Volanti armi in pugno che arrestano il quarantenne. Non c’è stato scampo per l’ingegner Limido, mentre la figlia si è salvata. Forse si sarebbe salvato anche lui se avesse cercato riparo nella ditta o a casa di alcuni vicini che erano accorsi persino coi bastoni per dagli man forte, non senza paura per la furia di Manfrinati: lo avevano raccontato nella precedente udienza.
Ma come si fa a prevedere coi «se» e coi «ma», l’esito di quanto è stato? E come si fa comunque a poter pensare che il padre di una ragazza appena pochi minuti prima sfigurata e ridotta in fin di vita potesse ragionare in maniera se non già logica per lo meno lucida circa la propria incolumità? Fabio Limido ha pagato con la vita il coraggio di fronteggiare il genero, più giovane e armato, che aveva colpito al cuore la sua famiglia. Dunque sul piano processuale pare difficile, ne nn quasi impossibile, sostenere la tesi della legittima difesa per Manfrinati.
Lo ha specificato e ribadito venerdì a margine dell’udienza il legale della famiglia Fabio Ambrosetti: «Il video parla da solo, anche in merito alla tesi difensiva finora manifestata cioè che fosse legittima difesa nei confronti di Fabio Limido: poteva scappare, invece ha ingranato la retromarcia per cercare di investire l’uomo. Le testimonianze di oggi hanno poi confermato che Lavinia aveva paura a tal punto da travestirsi con una parrucca, facendosi accompagnare in giro da una guardia del corpo».
Senza lanciarsi in ipotesi tecnico procedurali che spetterà alle difese definire, pare tuttavia che sul fronte della difesa dell’imputato, anche dalle domande poste in sede di contro esame in aula (cioè sulle domande che sono seguite a quelle del pubblico ministero che ha chiamato a testimoniare per oggi sei persone), appaia coma unico appiglio possibile quello dell’attenuante della “provocazione” consentito dal nostro codice penale come “attenuante comune” che, in un processo come questo, per nulla indiziario ma addirittura con prove testimoniali abbondanti corroborate da immagini, seguirebbe la strada della limitazione del danno.
Provocazioni legate dal fatto che per esempio lo psicologo ascoltato oggi come teste dell’accusa ha in più occasioni ribadito che l’imputato si sentiva impotente rispetto al fatto che non potesse avere contatti col figlio: «Viveva in uno stato di frenesia, ma nonostante questo non provava rabbia nei riguardi della moglie considerando invece la suocera come artefice dei suoi mali», ha spiegato lo psicologo che in tre distinti periodi della vita recente dell’imputato lo aveva seguito venendo a conoscenza anche della cura farmacologica seguita da Manfrinati su indicazioni di uno psichiatra, con benzodiazepine (forti calmanti): l’imputato, a quanto pare, soffriva di attacchi di panico.
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