“I giornali e le curie”

Pierfausto Vedani, decano dei giornalisti varesini, commenta con rammarico la fine di un'esperienza editoriale che gli aprì le porte alla professione. La domanda di fondo, legata alle tutele contrattuali: "Perché nessuno difende l'occupazione dei collaboratori?"

la provincia di varese aperturaQuando “chiude” un giornale o un tribunale condanna al carcere un collega o gli stalininfascisti di turno vogliono imbavagliare la stampa, provo sempre grande tristezza.
Appartengo alla generazione che ha potuto apprezzare la nascita della democrazia, con essa la libertà di opinione ed espressione. Anni che oggi appaiono mitici e sono oggetto di rimpianto a fronte di questa seconda notte della Repubblica provocata dalla crisi economica, dall’inconsistenza della politica nazionale e dal ciclone che sta devastando il pianeta della carta stampata, assolutamente impreparato, quanto meno in assoluto e colpevole ritardo davanti alla rivoluzione della comunicazione imposta dal web.
Da cronista mi limito a evidenziare alcune particolarità della situazione odierna di quello che è il mio mondo dall’inizio degli Anni 50, da quando disertai gli studi di legge per tentare l’avventura nel giornalismo.
Anche l’informazione ha i suoi vertici, le sue grandi tradizioni, le sue scuole grazie ad alcuni quotidiani storici e ad altri, più “giovani”, che hanno avuto la capacità di diventare autorevoli.
A conferma che le singole comunità che compongono tutte le società civili si presentano quasi sempre come una piramide, si constata che solo per chi sta in alto ci sono riguardi e cure. Per contro a chi fa parte della base di norma vengono riservati disinteresse e silenzio anche da parte di chi dovrebbe esercitare un ruolo ben diverso. L’annunciata chiusura dell’edizione varesina della “Provincia” mi rattrista perché il giornale comasco nel 1961 mi aprì le porte alla professione, ma soprattutto perché non pochi collaboratori locali resteranno disoccupati.
Temo che le proteste e le rampogne delle istituzioni giornalistiche non andranno oltre una esercitazione verbale, i muscoli vengono gonfiati e usati su altri ring, dove la posta in palio ha altra dimensione. Sta accadendo al “Corriere”.
La Provincia a Varese è stata l’ultimo traguardo di una pedemontana dell’informazione (partendo da Bergamo aveva vinto le tappe di Lecco, Sondrio, Como) sviluppatasi dopo il successo di quella finanziaria, che ha piallato le nostre banche.
Un gruppo editoriale importante quello orobico e qualche ringhio sindacale l’ha ricevuto, ma è largamente possibile che non si riesca nell’impresa di portare a casa risultati concreti.
A Varese è già accaduto ad altri miei colleghi che hanno avuto il torto di essere proprio in fondo alla piramide. Parlo degli amici di Luce, licenziati e abbandonati al loro destino dalla curia milanese non appena il cardinale Martini si ritirò. Salvo rare eccezioni i giornali non diedero spazio alla notizia del dramma editoriale e umano abbattutosi su Varese ( Luce) e Lecco ( Il Resegone ) sedi di antichi periodici della stampa cattolica di Lombardia .
Dieci giornalisti sulla strada e subito incredibilmente dimenticati. Fermi e zitti tutti coloro che avrebbero potuto almeno spendere una parola, anche a Varese. Sono passati anni e ancora oggi i ragazzi di Luce non hanno un posto fisso.
Le scelte di solidarietà della curia milanese storicamente sono inappuntabili riferimenti anche per i non cristiani, ma nella questione di Luce il ruolo di gestori di azienda ricoperto da curiali si è allargato sino a non riconoscere che tra gli “ultimi”, tra i disoccupati, erano finiti amici fedeli che con coraggio e grande professionalità avevano combattuto la buona battaglia. Ma il cardinale Scola conosce questa vicenda?

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Dicembre 2013
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