Quando l’orario di lavoro non è più una certezza

Una ricerca della Camera di Commercio ha analizzato gli orari di lavoro e i tempi di vita nel sistema commerciale della provincia di Varese. Ne scaturisce un quadro in netto cambiamento

I tempi del commercio cambiano le abitudini degli italiani e dei varesini, o i nuovi tempi di vita dei varesini cambiano gli orari dei negozi? La questione è di quelle che incidono nella vita quotidiana, ed è stata affrontata alle ville Ponti partendo da una analisi realizzata per Camera di Commercio in collaborazione con Cigl, Cisl e Uil, dal titolo «Orari di lavoro e tempi di vita nel sistema commerciale della provincia di Varese: aspetti economici e sociali connessi al cambiamento».
Un’analisi che affronta contemporaneamente i problemi dei lavoratori del settore e le necessità dei consumatori, da cui emerge come gli esercizi commerciali assolvano sempre più una duplice funzione: non solo come luogo di acquisto, ma anche come luogo di incontro e ritrovo, soprattutto per gli adolescenti e gli anziani, soggetti “con maggiori vincoli di reddito e di mobilità nell’uso dei servizi per il tempo libero”. Un ruolo che avevano, e ancora parzialmente hanno, anche i servizi di vicinato della distribuzione tradizionale, soprattutto nei centri storici e nelle aree periferiche e marginali ad elevata concentrazione di popolazione anziana.
Una rivoluzione silenziosa, che si è affermata in particolare negli ultimi anni, secondo abitudini consolidate e senza vere e proprie regole: «Nel rapporto tra orari commerciali e abitudini del tempo libero ci sono elementi che si autoalimentano – spiega Carmela Tascone, segretario generale Cisl -. Difficile definire se son gli orari che cambiano a cambiare le abitudini o le abitudini che cambiano a cambiare gli orari dei negozi».
Un problema che è diventato anche istituzionale: «Siamo in un periodo di grandissimo cambiamento, nella società in generale e nel commercio. Molte delle regole che hanno fatto la storia del settore sono messe in discussione – spiega Rudy Collini, presidente dei commercianti del centro di Busto Arsizio – Ritengo che sia fondamentale il cambiamento di mentalità: sia del commerciante sia delle istituzioni. Pensando non solo al proprio interesse, territoriale o aziendale, ma condividendo le soluzioni con il territorio». Mettendo cioè dell’anima in un lavoro che ha, numeri alla mano, un importante peso sociale: «Un supermercato, un negozio lo fa la persona che lo gestisce. Tutto dipende da chi governa quell’attività – sottolinea Antonella Zambelli, della torrefazione “La Brasiliana” e presidente varesina della Fipe – Quello che si può fare nel mio negozio si può fare anche nella Grande distribuzione. Dipende se chi è a capo dell’attività ragiona col cuore o con i soldi».
Il crinale è sottile, tra il baratro consumistico e il servizio sociale. E sotto accusa è la grande distribuzione: «La grande distribuzione propone un sistema consumistico – sottolinea Alessandro Milani, una cartoleria a Varese, nel consiglio dell’associazione di Commercianti del Centro – Ma cosa propone la società come alternativa? I grandi centri  hanno a capo delle finanziare, vogliono solo fare girare i soldi. Per quello va bene anche rappresentare uno spazio di aggregazione: con l’interesse finale di portare tutti al consumo».
Ora l’analisi dice che la gente, la domenica, non ha alternative all’andare nei centri commerciali: non c’è niente di meglio da fare, e se trova il suo centro abituale chiuso, semplicemente si trasferisce in un altro. La geografia umana dei paesi è cambiata e non si capisce se questo avviene a causa dei centri commerciali, o se grazie a loro ancora un punto di aggregazione c’è.
Per questo, dai relatori arriva una proposta: «Quando i comuni chiedono ai centri commerciali che si stanno costruendo gli oneri di urbanizzazione, perchè usarli solo per fare rotonde? – Propone Carmela Tascone – Si potrebbe utilizzare questi soldi per la riqualificazione della città». Una proposta che vede subito una prima risposta da Paolo Orrigoni, patron di Tigros, 60 punti vendita in provincia: «Un’idea interessante, ma da girare innanzitutto ai gestori di attività immobiliari, che sono i soggetti con cui i comuni si relazionano. La pianificazione va fatta con loro».
Ma, alla fine, questo profondo cambiamento sociale ha dei vantaggi, almeno dal punto di vista del business? «L’apertura domenicale genera innanzitutto un travaso di affari: quello che si incassava il sabato e il lunedì viene spalmato su tre giorni, comprendendo anche la domenica – spiega alla fine Orrigoni – Il conto finale è, va ammesso, positivo: nel complesso si guadagna infatti un po’ di più, ma non quanto un’intera giornata. La nostra esperienza dice però che questo meccanismo funziona quando c’è costanza di orari atipici. Non funziona, se si tratta solo di uno spot: una domenica al mese o un evento particolare cambia poco nelle abitudini delle persone».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 16 Settembre 2009
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