“L’albanese” il responsabile fantasma

Immigrato dall'Albania con la prima ondata, ha vissuto sulla propria pelle la discriminazione razziale. «Ero responsabile della produzione ma il mio trattamento era quello dell'ultimo arrivato.»

«Sono rimasto vittima di una discriminazione "elegante"». È ancora amareggiato Alessandro, albanese giunto in Italia con la prima ondata emigratoria. In mano solo la sua laurea in ingegneria elettrotecnica.
«Quando sono arrivato mi sono messo alla ricerca di un lavoro. Un’occupazione qualsiasi per mantenere la mia famiglia.»
E nella sua ricerca Alessandro è stato "abbastanza" fortunato: tramite amici è entrato in una ditta che operava proprio in campo elettrico.
«La mia prima qualifica è stata di operaio. La paga era di ottomila lire all’ora ed ero in regola. Ci fu solo un neo: il datore di lavoro mi disse a chiare lettere che dovevo dimenticarmi la mia laurea.»
Il tempo passava e per Alessandro aumentavano gli impegni e le responsabilità: «Mi venne attribuita la responsabilità per la produzione. Dovevo predisporre gli schemi e gli organigrammi, parlare con i clienti e correggere i preventivi: ma la mia posizione economica rimaneva invariata, gli altri due responsabili prendevano 3.500 lire in più all’ora. La mia busta era quanto quella di un apprendista. Ma la questione economica non era l’unica cosa odiosa. C’era il linguaggio del titolare che mi chiamava "l’albanese" e le sue continue allusioni alla moralità delle donne del mio popolo.»
Ma le umiliazioni per Alessandro non erano finite. Il clima si esacerbò dopo la visita della commissione che doveva attribuire la qualifica ISO: «Nel corso nel colloquio, a cui presi parte in qualità di responsabile della produzione, mi chiesero quanti anni avessi studiato e i commissari si accorsero che il mio titolo di studio non era la licenza media ma la laurea. Da quel momento, il principale cambiò radicalmente atteggiamento nei miei confronti. Iniziarono le risatine ironiche sulla mia cultura. E da lì un inasprimento del clima:
la responsabilità di ogni errore era mia, fioccavano continuamente rimproveri e critiche. Io e un ragazzino meridionale diventammo il capro espiatorio ad ogni occasione.»
Dopo dieci anni di soprusi e umiliazioni Alessandro ha mollato: «Incredibilmente, il mio licenziamento è stato un fulmine a ciel sereno. Il titolare tentò in ogni modo di farmi cambiare idea promettendomi mari e monti. Definì la mia decisione "una grande perdita professionale" ma ormai il vaso era colmo. La  frustrazione era tanta e anche in famiglia avevo perso la serenità. Me ne sono andato da circa un anno e sono un uomo nuovo. Sono contento della mia nuova occupazione, anche se ancora non ho ricevuto i soldi della liquidazione.»


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Pubblicato il 05 Aprile 2002
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