Parliamo di filosofia, l’economia ne guadagnerà

La mia fantasia consolatoria ha suscitato molte osservazioni (anche critiche) tra i miei conoscenti e nel mio stesso animo. Mi sta bene che in questioni non banali che toccano molteplici interessi ci si senta impegnati a formulare o preferire diverse soluzioni. Questo avviene nel calcio e nel traffico urbano, dove ognuno è convinto di avere la ricetta vincente; figuriamoci in questioni almeno altrettanto complicate come i cambiamenti epocali socio economici e l’istruzione pubblica.

Ma io, per carattere e per ragioni di età, non voglio necessariamente prevalere. Sono soddisfatto se su argomenti importanti viene stimolato un onesto dibattito che contribuisca alla consapevolezza e comprensione. Vediamo alcune osservazioni.

La cultura non equivale a maggior successo di impresa. La questione è articolata. Esistono infatti imprenditori di successo che non hanno cultura scolastica. Ci si chiede cosa avrebbero fatto se avessero avuto cultura. E si può anche rispondere che avrebbero perso tempo a studiare invece di dedicarsi all’impresa in età giovanile. Tuttavia i tempi sono cambiati, e ora i contenuti intellettuali della impresa di produzione di beni o servizi sono molto maggiori che per il passato. Certo una conoscenza delle cose del mondo e delle leggi della natura aiuta.

Si usava dire ”Studia il latino se vuoi riuscire nel commercio”; ma era un paradosso ironico. Ora ci metti anche il greco! Mi pare che i gusti, gli impegni spirituali dell’uomo quale consumatore di beni e servizi, stiano cambiando. Ora c’è molto più interesse per la qualità, per l’estetica, per i contenuti intellettuali. E il produttore di questi servizi deve adeguarsi. Questa sensibilità è certo aiutata, se non determinata, dalla cultura.

Greco, latino, matematica, storia, scienze, lingue straniere, e chi più ne ha più ne metta. Impossibile che si studi tutto ciò. Sono convinto che le possibilità del nostro cervello, messo sotto allenamento, siano sorprendenti. Direi che la scuola ci deve insegnare tutti gli aspetti del mondo, passati e presenti. Quindi anche scienze, storia, filosofia, informatica, diritto, fisiologia compresa scienza della salute e alimentazione, storia dell’arte, musica e quant’altro. Ci sta certamente tutto: stiamo parlando di 13 o 15 anni di studio.

Ma il costo di tutto ciò? E gli insegnanti? Ce ne vogliono di più, e certo qualificati. Non c’è dubbio. Vediamo gli aspetti economici.

Uno degli assiomi in economia è che ogni somma corrisposta a qualcuno rappresenta una spesa per chi eroga, e un guadagno per chi incassa. E chi incassa avrà quindi disponibilità per spendere, e un circuito virtuoso produttivo viene innescato. A questo assioma si rifarebbe la recente riduzione di imposte voluta dal Governo. Il risparmio di imposte crea maggiori disponibilità per i consumi, e questo sarebbe un bene. E’ un approccio solo quantitativo (anche se nell’esempio citato le quantità sembrano davvero irrilevanti) del problema.

Certamente un programma di diffusione della cultura quale quello ipotizzato comporterebbe un adeguamento delle retribuzioni di un corpo insegnante più numeroso e motivato dell’attuale. Ben venga. La scuola è uno dei pilastri su cui si fonda uno stato democratico (insieme alla giustizia, alla sanità, alla sicurezza) che è stato finora abbastanza negletto in Italia.

Ma l’assioma trascura l’aspetto della distribuzione della ricchezza, e della conseguente distribuzione della spesa. Se riduco le tasse ai ricchi, l’indotto privilegerà i produttori di gioielli, di seconde e terze ville, di automobili di lusso, di abiti di sartoria. Tutto ciò deve essere prodotto, e la ricchezza circola, e dà reddito a gioiellieri, proprietari di terreni in belle posizioni, muratori, idraulici, elettricisti di queste zone, operai metallurgici e sarti. Il circuito virtuoso comunque s’innesca, a meno che i maggiori soldi nelle disponibilità dei beneficiati siano trasferiti all’estero e ivi investiti e spesi; ma questo è un altro discorso.

La scelta della distribuzione della ricchezza è politica, poiché il circuito indotto non ha solo valenze economiche ma politiche, cioè di scelta tra diversi tipi di vita. All’indotto economico costituito dalla maggior capacità di spesa degli insegnanti, si aggiungerebbe il vantaggio della cultura diffusa tra tutta la popolazione. Se questo sia un bene, lascio a una valutazione politica di stabilire.

Secondo me un paese di gente che si incontra la sera a discutere di filosofia, di politica, di poesia, di arte, di scienze ha più possibilità per ben piazzarsi nella attuale competizione internazionale, anche se da sole queste caratteristiche non bastano.

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Pubblicato il 05 Marzo 2005
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