Sulle tracce dei ragazzi della via Pal

Il diario di Silvano Moroni dall'Est Europa

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Viaggio in Ungheria 4 di 5

Eccomi ancora in viaggio nella Nuova Europa per ri-scoprire Paesi e loro problemi, per parlare con la gente per capire quali siano le loro aspettative per il futuro. Ora la mia bussola segna costantemente nord e procedendo sono giunto a Budapest capitale dello stato magiaro, l’Ungheria, anche lei assillata da un certo numero di problemi.

Le vicende dell’Ungheria si rispecchiano e sono diffuse nella metà centro-orientale del nostro Continente e sono indicative dei problemi comuni a molti di questi paesi, impegnati in una difficile transizione. E questo – è bene ricordarlo – riguarda l’Europa intera, nonostante la scarsità d’interesse manifestato un po’ da tutti se non in particolari momenti per quanto riguarda i problemi che riguardano l’Europa Centro-orientale. Insomma, se non ci scappa il morto ce ne disinteressiamo, ma soprattutto mi pare di capire girovagando per questi paesi che ci accusino di essere incapaci di comprendere i problemi e le situazioni che ci verificano in quella metà di quello che è il nostro Continente e questa incapacità se si verica reale è indubbiamente molto grave. Molto grave perché allora è praticamente inutile parlare di Unione Europea allargata se non solo dal punto di vista strettamente politico-economico, ma mi pare di ricordare che nel momento in cui si è deciso di allargare a questa "fetta del mondo" i confini della cosiddetta Nuova Europa si diceva anche che assolutamente c’era bisogno di questi Paesi nella "Vecchia Europa" e loro avevano bisogno di noi per risolvere problemi sociali, quali l’integrazione delle varie etnie, una vera babele ma purtroppo ad oggi si registra il nulla o quasi e anzi forse si è riusciti a frammentare ulteriormente e far rinascere sentimenti nazionalistici altro che europeisti. Questo l’ho costatato in Slovenia con i Serbi, in Bulgaria con gli Zingari, in Romania con Rom e alcuni ceppi Ungheresi anche se nel Paese di Dracula un modello per risolvere il problema era stato proposto, ed ora in Ungheria ad esempio con gli Slovacchi tanto da costituire una sorta di Guardia Nazionale Ungherese.

"Gli ungheresi, diceva il reverendo Tokes, soffrono ancor oggi le conseguenze del Trattato di Trianon. Negli ultimi 20 anni il numero dei magiari di Transilvania ad esempio è sceso di circa 200 mila persone. Se questo processo continuerà sarà una vera catastrofe etnica". Tokes inoltre esprimeva la speranza che l’Europa unita possa dare agli ungheresi il "diritto di sopravvivere".

In un contesto territoriale che è stato, anche nell’immediato passato, caratterizzato da profondi conflitti, la Romania si è guadagnata lo status di "modello" per come sono rispettati i diritti delle minoranze. Con 17 minoranze nazionali, tutte rappresentate nel Parlamento di Bucarest, il Paese dei Carpazi ha puntato chiaramente verso un modello di convivenza delle differenze. Dopo la caduta del regime comunista nell’89, alle minoranze nazionali vennero riconosciuti diritti sino ad allora non tutelati. Tra questi, dove le minoranze etniche costituiscono maggioranza a livello locale, l’uso della lingua materna nell’istruzione pubblica, la giustizia e l’amministrazione ed iscrizioni bilingue. In molte città della Transilvania i nomi delle strade, delle località o delle istituzioni vengono scritti in ungherese, tedesco e romeno.

Nonostante ciò ci sono ancora dei problemi riguardanti l’integrazione sociale, soprattutto quella dei Rom, e delle proteste da parte delle minoranze. La più grande, e per certi aspetti la più temuta di queste, riguarda proprio la minoranza ungherese un tempo sovrana della Transilavania. La più temuta perché in passato l’Ungheria cercò di riappropriarsi dei territori perduti dopo la Prima Guerra Mondiale attraverso un’alleanza con i regimi nazi-fascisti negli anni Trenta

Ma alla luce di tutto ciò allora mi chiedo: cosa fare? Si dice che tutto ciò succede perché ci sono problemi economici diffusi in tutti i Paesi, forse è vero ma è altrettanto vero che, l’Ungheria ad esempio è una nazione non così mal messa eppure è stata, proprio lo scorso anno di questi tempi in una condizione di gravissima tensione.

Migliaia di persone si radunarono davanti al Parlamento agitando striscioni e vessilli nazionali in cui era stato praticato al centro un foro simbolico, in maniera del tutto analoga a quanto era avvenuto durante la rivolta del ’56, quando alle bandiere erano stati strappati i simboli comunisti. Scontri violenti, blocchi stradali, saccheggi e decine di feriti, assalto alla televisione di Stato. E’ anche vero che la crisi è esplosa quando è finita sui media la registrazione di un discorso un po’ sui generis tenuto dal primo ministro, a breve distanza dalla sua riconferma in occasione delle elezioni politiche.

A questo punto era ovvio che si scatenasse lo sdegno popolare e la rivolta contro un governo, anche se mi dicono, che in verità sulla violenza degli scontri ha molto influito lo scontento per il programma di riforme economiche,un programma veramente duro, che non poteva non colpire pesantemente ampi strati della popolazione – da una parte degli operai ai pensionati -, ma probabilmente indispensabile per poter procedere ad un vero salto di qualità, per realizzare quei processi di modernizzazione necessari per permettere al paese di figurare adeguatamente in Europa.

Le vicende dell’Ungheria però come ho detto in apertura non sono solitarie poiché sono la punta dell’iceberg di una situazione ben più diffusa in tutta questa area fortemente impegnata sotto ogni aspetto in una difficile traghettamento, il cui esito però non è assolutamente scontato. E questo – è bene ricordarlo ancora, finchè si ha voce e refil per scriverlo – riguarda l’Europa intera perché in un’Europa senza confini non è possibile chiedere territori, ma però bisogna assicurare a tutti dei diritti, fra i quali, perché no, anche la propria autonomia, ma in armonia con coloro che accanto vivono e questa è sicuramente la scommessa più difficile che l’Europa di oggi deve affrontare.

A suffragio della verità bisogna però ammettere che la Romania, come dicevo, aveva fatto una analisi a suo tempo di cosa si vuole intendere per autonomia.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 08 Novembre 2007
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