Malpensa, Italia e il paese delle meraviglie

Il tema della seconda puntata era immigrazione e sicurezza. Un Maroni fantastico e un Paragone furbissimo hanno duettato senza contraddittorio

Un Maroni fantastico e un Paragone furbissimo hanno condotto la seconda puntata di Malpensa, Italia nel paese delle meraviglie. Complimenti a entrambi. Il resto solo comparse.
Il tema era di quelli tosti. Immigrazione e sicurezza, il pane della Lega. Paragone ha impostato tutta la trasmissione su una domanda giusta. Come si fa a coniugare il bisogno di forza lavoro, soprattutto al Nord con l’esigenza di sicurezza dei cittadini?
E il ministro degli Interni Roberto Maroni con un’alzata così è andato subito a schiacciare fin dalle prime battute. "L’immigrazione non è un problema. Il problema sono i clandestini. E lo sono così tanto che abbbiamo dichiarato l’emergenza nazionale". Chi aveva il timore o il desiderio, dipende dai punti di vista, di assistere a una trasmissione aggressiva, dai toni accesi, dagli slogan facili sarà rimasto (per fortuna comunque) deluso.
Paragone è stato abile e bravissimo. Ma via via che il tempo scorreva saliva sempre più inquiieta una domanda: ma di quale paese stanno parlando?
I due sindaci di Padova e Brescia, al di là di qualche sussulto, sono stati utili a raccontare alcuni reali problemi, ma niente di più.
Tutti sdegnati perché dall’estero ci considerano razzisti. Tutti preoccupati di distinguere tra immigrati buoni e quelli cattivi. Maroni ironico sull’attacco di un articolo di Repubblica, che pur portando ad esempio Treviso come modello di possibile integrazione, parla di sconcerto. E del resto come si potrebbe far diversamente quando il vicesindaco
Giancarlo Gentilini parlando degli islamici dice che "questi devono andare a pisciare nelle moschee".
Una trasmissione dai toni come quelli di Malpensa, Italia è positiva e importante, ma anche furba, ideologica, con una parola forte verrebbe da dire di "regime". Niente da ridire della parte del ministro. È mancato completamente ogni sorta di contraddittorio. È mancato un pezzo di realtà. La vicenda di Emmanuel Bonsu Foster, il giovane del Ghana massacrato di botte dai vigili di Parma (poi per fortuna arrestati), o quella del diciannovenne italiano nero Abdul Salam Guibre ammazzato a bastonate a Milano per aver rubato un pacchetto di biscotti sono solo punte di icerberg che fanno del nostro paese un luogo non solo poco sicuro, ma impaurito e poco accogliente. Questo è anche il paese dove il presidente del consiglio fa battute sul colore della pelle di Obama, ma anche quello dove a pochi chilometri dallo "studio" della trasmissione si bruciano i lavoratori, come la storia di Ion Cazacu o si ammazza per una rivendicazione salariale come a Gerenzano. Fa piacere quindi ascoltare le parole del ministro sulla voglia di accoglienza, ma le cose non sono proprio come le racconta lui, e non abbiamo mai sentito una vera chiamata a raccolta per lavorare insieme in un clima di serenità come appariva dalla trasmissione.
L’aver puntato poi su alcuni aspetti economici e sociali con le voci del sindacalista della Cgil per il lavoro, o dell’architetto Fuskas per gli aspetti abitativi e il Nobel Muhammad Yunus  per il microcredito e quindi per una soluzione "a casa loro" è certamente positivo. Peccato però, che come per Enzo Bianchi nella prima puntata, questo sia stato relegato in un angolo lasciando tutto lo spazio di argomentazione solo agli altri.
Quanto ai clandestini e alle battaglie per sconfiggere uno dei traffici più redditizi e schifosi, forse con un po’ di coraggio si poteva invitare Bilal, ovvero Fabrizio Gatti. Il contraddittorio tra le dichiarazioni e le promesse di Maroni e il lavoro serio e preparato del giornalista dell’Espresso forse avrebbero potuto aiutare a capire davvero meglio. Gatti ha percorso la nuova tratta degli schiavi e nei suoi reportage racconta scomode verità.
Malpensa, Italia, come tante altre trasmissioni, lavorano a tesi. "A me piace lavorare così", ci aveva confessato Paragone giorni fa. Non c’è niente di male a farlo, ma  il rischio che si corre con  questo metodo è quello di fare il tifo e voler veder vincere la propria squadra. A quel punto è chiaro che senza bisogno di truccare niente, si possono però scegliere arbitri più "morbidi".

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 31 Gennaio 2009
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