Al via il processo “Lolita”
La prima udienza sull'inchiesta di edilizia e pratiche sospette a Gallarate. Avvocati subito all'attacco su modalità di indagine e intercettazioni
Al via presso il tribunale di Busto Arsizio oggi, giovedì 19 febbraio, il processo a carico di Gigi Bossi, Federica Motta e Riccardo Papa per la cosidetta vicenda "Lo.Li.Ta.", dal nome dello studio professionale della Motta. L’accusa mossa dalla Procura bustese, nella persona del pm Roberto Pirro, è di concussione ambientale. In pratica, secondo gli inquirenti che hanno esaminato minuziosamente oltre settanta progetti realizzati a Gallarate, il Bossi nella sua posizione di capo dell’ufficio tecnico del Comune avrebbe favorito in modo sistematico la propria compagna, l’architetto Motta, facendola comparire in un gran numero di progetti. Bossi e Motta erano rimasti in carcere dal 26 maggio al 4 agosto, poi ai domiciliari; ora lei ha obbligo di dimora a Gallarate, lui a Somma Lombardo. Quanto a Papa, già presidente dell’ordine degli architetti della provincia di Varese, è stato coinvolto formalmente dall’inchiesta lo scorso autunno, finendo a sua volta ai domiciliari per alcune settimane: per l’accusa partecipava del meccanismo che favoriva la Motta.
La prima udienza è stata dedicata alla costituzione delle parti, alle questioni preliminari e alla presentazione delle liste di testimoni e documenti da produrre a sostegno delle tesi della parti in causa. Il pm Pirro, negli scambi introduttivi, ha descritto Bossi come «il dominus assoluto per quanto riguardava varianti di piano e piani integrati di intervento, gli strumenti che possono fare o meno la fortuna di determinate aree». Insomma un uomo in una posizione chiave: alla corte valutare la rilevanza penale di quanto contestatogli dal pubblico ministero. Il procedimento si annuncia lungo, difficile e complesso: le difese degli imputati, affidate a noti professionisti forensi, sono partite al contrattacco sin da questa primissima udienza a suon di questioni preliminari. I rapporti fra le parti del resto non erano stati tra i più distesi neppure durante le indagini, a causa del gran numero di ricorsi contro i provvedimenti restrittivi e i sequestri a danno degli imputati – ricorsi sempre respinti almeno fin verso Natale, quando sono stati revocati i domiciliari per gli indagati.
Gli imputati apparivano sereni, con un Gigi Bossi persino di buonumore; e i legali non hanno mancato di sottlineare come la misura dell’obbligo di dimora di fatto si sia tradotta per la coppia Bossi-Motta in un divieto di convivenza, non previsto dall’ordinamento. Il pm per parte sua non si opporrà a questo punto ad attenuazioni della misura. I legali, gli avvocati Cicorella, Massironi, Palumbo e Federico Papa, hanno eccepito sistematicamente sull’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali (queste ultime effettuate sulla BMW del Bossi) di cui il pm chiede la trascrizione per produrle come prova, attaccando su più fronti. Una prima eccezione sul fatto che Riccardo Papa fosse stato di fatto intercettato per undici mesi prima di essere iscritto fra gli indagati, su scadenze e intercettazioni svolte a carico di non indagati (comunque non rientrate nel processo), è stata respinta dalla corte presieduta dal giudice Toni Adet Novik. Presentando le liste dei testimoni la parte civile, ossia il Comue di Gallarate, recentemente costituitosi come parte in causa nel processo e rappresentato dall’avvocato Gallo, ha chiesto di poter acquisire anche articoli di stampa ed ascoltare giornalisti circa le modalità di circolazione delle notizie, trattando di un danno d’immagine alla città. Richiesta che ha trovato l’opposizione delle difese.
Reiterate e argomentate le eccezioni delle difese sulle intercettazioni, punto evidentemente "caldo" del procedimento, e sulle modalità di conduzione dell’indagine, con il pm di fatto vero "imputato" di giornata. L’avvocato Cicorella, che difende Federica Motta, ha ricordato che solo indizi gravi coniugati ad ipotesi di reato per le quali sia possibile il ricorso a tale strumento danno il diritto a ricorrere alle intercettazioni. Ricostruendo la vicenda a partire dalle iniziali dichiarazioni dell’imprenditore Leonida Paggiaro, rese in altro ambito – la vicenda del sequestro del depuratore di Sant’Antonino -e che avviarono i primi accertamenti nell’autunno 2007, Cicorella ha sostenuto che solo sulla base di «mere illazioni» la Procura sia passata da accuse di abuso d’ufficio, per le quali le intercettazioni non sono possibili, a quelle di corruzione che invece le consentono – tesi già sentita nei giorni dell’arresto di Bossi e Motta. L’accusa venne poi precisata in concussione. «Inutilizzabilità assoluta di gran parte delle intercettazioni» anche per Cosimo Palumbo, legale di Bossi, che ha contestato presunte irregolarità nelle proroghe delle relative autorizzazioni (da rinnovare ogni quindici giorni) e chiesto di acquisire le posizioni giudiziarie di due dei testimoni citati dall’accusa.
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