Sfrattati e ancora senza un tetto comune: “usati per dare un esempio”
Non hanno trovato ospitalità dalle parrocchie i coniugi G. sfrattati dall'Aler. Il capofamiglia ha dovuto dormire in auto, e non ci sono soluzioni facili in vista, nè per un impiego, nè per trovare un'altra casa
Niente ospitalità dalle parrocchie, almeno per il momento, per i coniugi Ciro G. e Giovanna S. e i loro tre figli a carico, di cui due minori. Così ha deciso oggi il decanato, sentiti i servizi sociali, declinando almeno per ora di ospitare le cinque persone prima di farsi un’idea sui tempi (e i costi) dell’impegno verso queste persone sfrattate ieri dall’Aler con cui avevano un consistente debito maturato nel corso degli anni. La consigliera del PD Erica D’Adda e il sindacalista del Sicet (inquilini) Ezio Mostoni si stanno arrabattando per trovare una sistemazione che permetta di tenere tutti insieme, per ora i cinque si sono dovuti dividere tra le abitazioni delle altre due figlie… e l’auto, dove il capofamiglia ha dovuto pernottare, come si temeva. In casa, nella palazzina al 71 di via Rossini, restano gli abiti, gli oggetti, i ricordi di quindici anni di vita familiare. Spezzati da difficoltà che da croniche si sono fatte emergenziali: il lavoro di papà Ciro perduto in estate, dopo una vita di impieghi fin da ragazzino, anche in fonderia; le rate non pagate di affitti e spese ad un’Aler sempre meno incline a fare sconti, che concesse una, due dilazioni, è passata alla linea dura, di fatto spalleggiata dal Comune a sua volta intenzionato a "responsabilizzare" chi non paga. «L’atteggiamento della giunta comunale» commenta Salvatore Vita del PD, che a sua volta ha collaborato a cercare un alloggio presso le parrocchie, «è "chi ce la fa ce la fa": ci si vuole ridurre come l’America. L’assessore Crespi si sta comportando più da gestore di un potere che da solutore di problemi sociali. Così non siamo persone, bensì numeri. E di queste situazioni purtroppo ne vedremo».
«Ci hanno chiuso tutti la porta in faccia» sospira la signora Giovanna, «anche i santi adesso. Solo D’Adda e Mostoni si sono fatti in quattro per noi, gliene siamo grati». La ricerca di impieghi oggi, anche quelli meno qualificati, non appare delle più facili. Quelli nel sottobosco del sommerso sono appannaggio degli "invisibili", gli extracomunitari, quelli legali sembrano richiedere titoli di studio persino per le professioni meno ambite, e Ciro, come tanti napoletani della sua età, "tiene la quinta elementare", e si è messo a "faticare" giovanissimo. «Stavamo bene lì, avevamo un buon rapporto con i vicini, ora siamo finiti così sui giornali» commenta sconsaolata la donna, di origini gelesi, a Busto dal 1977. «Dovremo ricominciare da zero, come se fossimo appena arrivati dal Sud; mio marito ora sta in auto, al dormitorio non vuole andare, si vergogna». I figli non hanno conosciuto realtà diverse da quella bustese, il più piccolo, appena quattro anni, va all’asilo e sta imparando a leggere e scrivere. «Gli affitti e le spese erano cresciuti nel tempo, conosco varie persone in situazioni non migliori della nostra, con lo sfratto che incombe» ripete, «quanto a noi, siamo stati usati come burattini per dare un esempio». L’ultima speranza qui in città è rivolgersi al Pime, ma anche qui i posti al momento sono occupati; nei prossimi giorni si cercherà comunque di trovare una soluzione.
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