Presidio a oltranza all’Ibici

La ditta è chiusa da un mese, ma i dipendenti aspettano ancora gli arretrati di metà maggio, giugno e luglio. Tornata la corrente elettrica, fanno i turni anche di notte per evitare che i macchinari vengano portati via. Nei giorni scorsi è giunto in visita anche l'on. Marco Reguzzoni

Le settimane pasano ma la situazione della Intimfashion, ex Ibici, non si sblocca. I 58 dipendenti della fabbrica di calze e intimo, chiusa da fine luglio per cessata attività, continuano a presidiare i cancelli. Non solo: da questo fine settimana si sono organizzati con turni di una precisione militare: ogni sei ore c’è il cambio della guardia, a gruppetti di almeno cinque-sei persone fra lavoratori e rispettivi consorti, spesso ex dipendenti a loro volta. Sì, perchè dietro il marchio Ibici c’è una storia di decenni di lavoro e prodotti apprezzati che hanno testimoniato, se mai ce ne fosse bisogno, il valore dell’industria bustocca del tessile-abbigliamento. E ancora nei giorni della chiusura ordini non mancavano. Ma la proprietà del gruppo, dalla lontana Mantova, aveva già da tempo i suoi problemi a far quadrare i conti.

In questi giorni a portare di persona la sua solidarietà (e poco altro, purtroppo: non c’è molto che possa fare concretamente nello specifico) è stato anche l’onorevole bustocco della Lega Nord Marco Reguzzoni. Non insensibile al grido di dolore della sessantina di lavoratori, in gran parte di età non più giovanissima, si è occupato della questione sul piano politico. Essenzialmente ha chiesto di rivedere le modalità con le quali si distribuiscono determinati contributi, visto come vanno a finire le cose: il tempo delle delocalizzazioni assistite deve finire. La presenza che ancora manca, e che invece i "turnisti" di presidio che incontriamo in questa domenica chiedono, è quella del sindaco. In fondo il marchio è stato un patrimonio industriale della città, e il diritto a ricevere gli arretrati non fa una grinza: ricevere in Comune chi reclama il dovuto, farsi vivo sul posto e prendere posizione sulla vicenda per Farioli è un’opzione da considerare. 

«In agosto non ci è arrivato quasi nulla di quanto promesso» ci dicono Michele, Daniela, Giovanni ed Eleonora mentre una pattuglia di carabinieri passa e saluta il "picchetto" riprendendo il suo giro di pattuglia nella zona industriale semideserta. «Tra l’altro non ci sono stati fatti avere nemmeno i cedolini, per cui neppure noi abbiamo un’idea precisa al centesimo di quanto ci sia dovuto». Lo stipendio di metà maggio, inclusivo di ben 48 ore di sciopero, e dunque molto ridotto, e la quattordicesima sono infine pervenuti, con qualche settimana di ritardo; tuttora non pervenuti invece l’altra meà della paga di maggio e quella di giugno, attese (invano) entro il 20 agosto. Per tacere di luglio, di cui per ora nemmeno si è parlato. «Così da venerdì facciamo i turni, come se lavorassimo a ciclo continuo. Da mezzanotte alle sei, dalle sei a mezzogiorno, poi fino alle 18 e a mezzanotte». Ogni sei ore, cambio. «Abbiamo dovuto procedere così perchè è tornata la corrente (che in precedenza era stata tolta, ndr). Chi ha pagato? Non lo sappiamo: si mormora un’altra ditta, ma qui non ci si capisce più niente». Con la corrente disponibile, il rischio di vedersi portar via i macchinari è tornato concreto. Di solito si picchetta una ditta per salvare il posto di lavoro: in questo caso le macchine sono …in ostaggio, a garanzia degli arretrati.

Quasi tutti sui cinquant’anni, a grande maggioranza donne, i dipendenti riescono ancora, fra l’amarezza, a sorridere della situazione. Difficile per loro "riciclarsi" in altri ambiti. «Io ho provato a cercare» fa la
moglie di uno dei presenti, già per molti anni impiegata presso Ibici, «in una cooperativa che lavora per un centro di distribuzione mi hanno detto: non la prenda come un’offesa personale, ma sa, donne della sua età…» Poi parlano di prolungare l’età pensionabile.
Sotto un precario riparo dall’ombra all’ingresso della ditta, una manciata di sedie, una borsa termica e le solite chiacchiere fra persone che dopo decenni di lavoro insieme, come una grande famiglia hanno reagito alla perdita, annunciata, dicono in molti, del loro baricentro esistenziale: la fabbrica. Determinati, dignitosi, ironici, tengono duro. Finchè non arrivano i soldi, e tutti, da lì non si muoveranno. Vorrebbero uscire dal limbo in cui sono confinati: per ora la cassa integrazione è stata richiesta, ma c’è da chiedersi, con i chiari di luna del momento, quando arriverà. Le risorse non bastano mai, in questi tempi di crisi: «Crediamo che più d’un lavoratore dell’industria, purtroppo, si troverà delle brutte sorprese da domani. Quanti non riapriranno a settembre?» Bella domanda, cui non si può rispondere semplicemente toccando ferro. E quando scadrà la massa degli ammortizzatori sociali già avviati, come andrà? Meglio non pensarci, e concentrarsi sulle cose dell’oggi. Piccole piccole, a volte. «Potete dire al Comune di passare a tagliare l’ambrosia? È vero, una volta l’hanno fatto nella settimane scorse, ma qui intorno è pieno e c’è chi è allergico. Non è che si può chiedere ai privati di tagliarla e poi lasciarla lì…»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Agosto 2009
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