Cooperazione varesina tra tradizione e futuro
Sa ragionare "da impresa" ed è portatrice di valori questa categoria economica e sociale che vede in provincia 39mila persone impiegate in 2600 realtà. A dirlo gli Stati Generali di Ville Ponti
Sono aziende, ma sono anche l’espressione più alta della socialità che può esprimere un paese. E ieri pomeriggio alle Ville Ponti per la prima volta si sono confrontate, mercoledì 2 dicembre, negli Stati Generali della Cooperazione e dell’Imprenditorialità Sociale a Varese.
Si tratta delle imprese sociali e le cooperative, che a Varese rappresentano una realtà che conta «39mila persone impiegate in 2600 unità operative non profit, 775 delle quali cooperative, di cui 125 di tipo sociale» come ha spiegato il presidente della camera di Commercio Bruno Amoroso, che ha aperto i lavori. Una realtà economica oltre che sociale «In continua crescita – ha spiegato Claudio Marelli, presidente di Confcooperative Varese – e per di più fatta di imprese fedeli al loro territorio che non fuggono, non emigrano, non delocalizzano. Anzi danno lavoro ai soci in un radicamento all’economia reale che ha consentito di reggere meglio la crisi».
E che può raccontare anche storie a lieto fine, malgrado i tempi di crisi: «Alcune commesse recenti le abbiamo ottenute grazie alla crisi – ammette infatti Francesco Luoni, presidente della cooperativa “Solidarietà e Lavoro” di Busto Arsizio – e la diversificazione dei nostri lavori , che sono di assemblaggio per aziende meccaniche ma anche di contoterzismo elettronico oltre che di fornitura di servizi di call center e immissione dati, ci hanno permesso di reggere bene l’urto della crisi» un ragionamento molto “aziendale” che sempre più realtà di economia sociale cominciano a sapere esprimere, anche grazie al recente obbligo di redazione del bilancio sociale: «Alcuni l’hanno vissuto solo come un onere, ma per molte cooperative è stato non solo uno strumento di informazione delle proprie attività, ma anche di riorganizzazione aziendale – spiega infatti la docente dell’università dell’Insubria Cristiana Schena, relazionando l’attività del gruppo di lavoro da lei coordinato insieme al direttore di Rete 55 Matteo Inzaghi – Guardarsi dentro, come costringe a fare un bilancio sociale, permette infatti di cominciare percorsi di rinnovamento e ridefinizione degli obiettivi».
La realtà delle cooperative e delle imprese sociali è infatti in grande movimento verso un modo di affrontare il lavoro più moderno, attingendo a risorse anche qualificatissime, tra stagisti universitari e dirigenti provenienti dall’area profit. Ma non dimentica le sue origini e i valori che la differenziano da una impresa “normale” «Siamo nati nel 1946, davanti a una damigiana di vino e a un tavolo per giocare a carte – racconta uno dei responsabili della cooperativa di consumo di Arcisate, una delle più brillanti realtà in un mondo che, purtroppo, sta scomparendo – è diventata un bar, poi un circolino. Con i soldi in più abbiamo potuto prendere una palazzina in centro, che ci ha permesso di affittare a prezzi più ragionevoli le case. Poi abbiamo aperto la mensa popolare che è durata finchè ci sono state aperte due aziende grandi. Dopo abbiamo dato in affitto il ristorante e ora lo gestisce una nostra socia. Nei nostri locali c’è il patronato per risolvere i problemi fiscali di pensionati o persone che vogliono o devono risparmiare su questa gestione. E tra poco inaugureremo un salone di ritrovo. Il tutto non per fare profitti, ma per mantenere alta la socialità in paese».
Realtà che si esprimono nel mondo economico con utilizzo di “eccellenze” che solo chi coordina una impresa sociale può notare: «Abbiamo cominciato a fare lavorazioni meccaniche perchè ci siamo resi conto che parcellizzando il lavoro venivano fuori molte attività altamente ripetitive che per un “normodotato” sono alienanti, ma per un disabile psichico sono perfette, tanto che riesce a svolgerle meglio di un lavoratore normale messo in quella sezione» confessa Francesco Luoni «Non si può dare niente per scontato nelle imprese come le nostre, ed è un errore pensare genericamente di “fare un piacere” agli svantaggiati facendo fare un lavoro qualunque».
Un rischio che a volte corrono le imprese sociali stesse: «L’inserimento di persone svantaggiate non sempre è percepito nel suo valore, sia internamente sia da chi ne potrebbe usufruire» segnala Gianfranco Rebora relazionando del suo gruppo di lavoro coordinato insieme al direttore della Prealpina Giancarlo Angeleri, e che affrontava i rapporti tra mondo cooperativo e pubblica Amministrazione: con il rischio di non ricevere il giusto compenso economico dal servizio erogato.
Un problema che è ancora più acuto tra le imprese a vocazione solidale molto spinta, come ha spiegato il coordinatore del quotidiano la Provincia di Varese Vittorio Colombo, al lavoro nel gruppo che affrontava i rapporti con il mondo profit insieme alla docente dell’Insubria Rossella Locatelli. «Le imprese sociali con questo tipo di caratteristiche si reggono molto sulla liberalità e sentono la crisi più di altri. Mentre chi invece realizza guadagni rischia di sentirsi in concorrenza con i cinesi, correndo il rischio di inseguire una corsa al ribasso che può fare molto male».
Questioni e problemi che si riescono a risolvere innanzitutto mettendole in comune in maniera schietta e con una partecipazione vera, occupandosi del «Qui e adesso» più volte evocato dal coordinatore dell’intera giornata, il giornalista del Corriere della Sera Dario di Vico, che ha dato una grossa mano a “tirare fuori” ciò che succede in questo settore così poco conosciuto dall’economia e così lasciato alla buona volontà dei singoli, malgrado ricopra un preciso ruolo sociale.
Questa prima forma di dialogo, che è è stata anche la prima espressione pubblica dell’osservatorio cooperazione e imprenditorialità sociale della Camera di Commercio di Varese, è riuscita a farlo e farà da apripista a una forma permanente di dibattito: con un questionario che verrà recapitato a tutte le aziende partecipanti, e farà la fotografia di quello che la cooperazione e l’impresa sociale ha bisogno, per potere evolversi secondo valori e tradizioni, ma guardando al domani con coraggio.
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