Perchè la moda italiana “mette su casa” in Svizzera
Abbiamo chiesto qualche informazione in più a Franco Cavadini, presidente da trent'anni di Afra, l'associazione ticinese fabbricanti del ramo abbigliamento
Un trasferimento silenzioso, che dura da tempo. Le prime aziende tessili italiane di importanza internazionale hanno impiantato sedi alcune decine di anni fa, altre hanno impiantato sedi svizzere dopo l’apertura dei confini. Ma dopo la notizia del trasferimento della sede italiana della North Face dal Treviso al Canton Ticino, la voglia di capire cosa succede oltre forntiera è decisamente aumentata.
Per questo abbiamo chiesto qualche informazione in più a Franco Cavadini, presidente da trent’anni di Afra, l’associazione ticinese fabbricanti del ramo abbigliamento: chiedendo inanzitutto conferma della massiccia presenza di sedi di industrie tessili internazionali nel cantone. «Si, ce n’è diverse. Ermeneglido Zegna è ormai trent’anni che è in Ticino: ha festeggiato l’anniversario l’anno scorso. Ha a Stabio una grossa presenza in produzione e gestione. Anche la tedesca Hugo Boss è in Ticino da diversi anni, ma è più che altro una importante sede logistica, che ha attualmente ampliato a Coldrerio. Anche per Gucci si tratta sopratutto di centri logistici: loro ce l’hanno a Bioggio. E poi ci sono Armani e altri».
Ma il Ticino è un cantone tessile? «Esiste anche una realtà tessile propriamente del Canton Ticino: ci sono diversi laboratori importanti che producono per marchi internazionali oppure realizzano marchi propri. Si trattava di un settore che una volta impegnava, in produzione, fino a 10mila persone. Ora non sono più di 2500, la delocalizzazione si è fatta sentire anche qui»-
I lavoratori impiegati in ditte del settore tessile, compresi quelli che si occupano di logistica e produzione, sono ormai 4mila, e i motivi per cui molti di loro lavorano in Svizzera e non in Italia possono essere molti: «Qui hanno trovato servizi e formazione, per esempio. Ma va ricordato anche che qui è facile avere personale italiano con il frontalierato da Varese, Como, Sondrio, e c’è anche una cultura e una lingua italiana utilizzabili, che rendono quindi più facile l’interscambio tra Italia e Svizzera».
Perchè la moda cresce con l’Italia, ma «la vicinanza anche dal punto linguistico e culturale, unita a ottimi servizi per le aziende, a facilitazioni fiscali e una maggiore flessibilità nel lavoro rendono questo punto molto appetibile – dice Cavadini. Dai patti bilaterali in poi è anche tutto più semplice, spostare persone e merci dall’Italia alla Svizzera o viceversa non è più complicato come una volta. Noi non siamo membri della comunità europea ma, a parte le ultime vicende legato allo scudo, non ci sono grosse difficoltà».
E’ un motivo fiscale e burocratico, quindi quello che porta i grandi marchi in canton Ticino? «Non solo: forse in Ticino si è stabilito un quadro ideale per stabilire l’attività. Non solo dal punto di vista occupazionale o fiscale: le relazioni tra ditte del settore, per esempio sono aperte: c’è collaborazione e trasparenza di competenza e relazione. E’ un ambiente che non c’è da altre parti. La cosiddetta Fashion valley ticinese è cresciuta con l’arrivo di ditte che non sono chiuse in se stesse: qui c’è un vero distretto, non aziende una accanto all’altra che si fanno solo concorrenza».
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