Truffa in azienda, maxirisarcimento e condanne a sei e quattro anni

Vittima della maxitruffa che la mise allora in ginocchio fu, tra il 2000 e il 2004, un'importante azienda di Solbiate Olona tuttora attiva nella produzione e commercio di macchinette distributrici di snack e bevande

Una maxitruffa in azienda è approdata oggi alla prima importante sentenza. Con rito abbreviato sono state messe emesse condanne a 6 e 4 anni rispettivamente per i due principali soggetti sotto processo, Mauro B. e Antonello P.. La sentenza dal gup Cristina Marzagalli del tribunale di Busto Arsizio include soprattutto un maxirisarcimento da oltre 12 milioni di euro (precisamente 12.704.721 euro e 83 centesimi) che sarà dovuto dai due. Accolte dunque le richieste di pena del pm Sabrina Ditaranto e quelle di risarcimento del legale di parte civile, avvocato Fabrizio Busignani.

La vicenda
La vicenda è complessa e ha coinvolto in totale una ventina di persone, molte delle quali hanno già da tempo patteggiato; alcune altre devono ancora andare a dibattimento, con un’udienza fissata per il 7 luglio prossimo.Vittima della maxitruffa che la mise allora in ginocchio fu, tra il 2000 e il 2004, un’importante azienda di Solbiate Olona tuttora attiva nella produzione e commercio di macchinette distributrici di snack e bevande. Uno dei due imputati principali, fra i quattro andati a sentenza oggi, era Mauro B., dipendente infedele dell’azienda truffata e architetto principale della sottrazione di ingenti fondi alla medesima. Il B., che godeva della più cieca fiducia da parte dell’azienda e si trovava in posizioni interne di rilievo, si inventava delle ricevute bancarie (Ri.Ba) false, poi autorizzava pagamenti, tramite gli strumenti di remote banking cui aveva accesso, a soggetti che con l’azienda nulla avevano a che fare,. Tutto con il pieno appoggio di Antonello P. che, esterno all’azienda truffata, gestiva un giro di società compiacenti. IL B. si è dimostrato molto abile con i computer, intervenendo direttamente su questi per "taroccare" le cifre, rendendo puramente "virtuali" le disponibilità aziendali in un caso da manuale di doppia contabilità. Vi è poi a latere della vicenda, ricorda l’avvocato di parte civile, il ruolo di mancato controllo del collegio sindacale della società, che ha in parte risarcito; e quello delle banche, alcune delle quali emettevano assegni circolari al B., fatto per il quale sono in corso due procedimenti penali, ancora alla fase delle indagini.

"Vado a prendere i bambini…" e tanti saluti
Il giochetto ha retto per almeno tre anni prima di essere scoperto, quando finalmente la ditta si è ritrovata in pratica senza liquidità. Nel frattempo i truffatori si davano alla bella vita. Quando il B. vide scoperto il maxiammanco, disse semplicemente che sarebbe andato a prendere i figli per poi non farsi mai più vedere in azienda. Era il 2004. Non fece in tempo però a far sparire tutti i supporti informatici che documentavano le operazioni svolte. Nel suo cassetto furono trovate anche le prove di acquisti di Rolex, di abitazioni e di auto costose – Ferrari, Porsche. Tutti elementi poi portati al procedimento, partito dalla denuncia della ditta truffata.

Una montagna di milioni
I due principali indagati hanno fatto anche delle chiamate di correo, indicando responsabilità di altri, ma ciò non è bastato ad evitare loro pene che, per l’ordinamento attuale, il tipo di reato e con lo sconto di un terzo previsto con il rito abbreviato, vanno considerate pesanti. Il vero obiettivo è sempre stato infatti quello di recuperare i soldi. Le indagini difensive della parte civile hanno permesso di identificare alcuni immobili in cui era stata reinvestita parte dei proventi della maxitruffa, ma si stima che la gran parte di questi dorma in qualche caveau svizzero, tranquilla ma non troppo visti i recenti chiari di luna in materia fiscale e la stretta crescente sulle regole del segreto bancario. La Guardia di Finanza collaborando alle indagini aveva infatti individuato almeno una decina di viaggi in Svizzera direttamente legati alla vicenda. E solo e soltanto restituendo integralmente la somma esatta a risarcimento del danno cagionato i condannati potranno, forse, evitare il carcere ottenendo misure alternative.

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Pubblicato il 18 Febbraio 2010
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