Gli uomini giusti muoiono di sabato

La vicenda di Giorgio Perlasca pone ancora molti interrogativi sul ruolo giocato da alcuni diplomatici che nel'44 erano attivi a Budapest per salvare gli ebrei

Giorgio Perlasca

Gli uomini giusti muoiono di sabato. Giorgio Perlasca è morto di sabato. Giorgio Perlasca era un uomo giusto. E anche un fascista convinto che ha salvato migliaia di ebrei nell’Ungheria occupata dai nazisti.

Nato a Como nel 1910 e vissuto a Maserà, piccolo paesino della provincia padovana, Perlasca è la prova provata che alle leggi razziali antiebraiche ci si poteva e ci si doveva opporre. Bastava non omologarsi, bastava dire no all’evidente porcheria di quei provvedimenti. Perlasca ha rifiutato le leggi razziali senza rinnegare la sua fede, anteponendo la sua coscienza di uomo alla divisa di fascista. Aveva combattuto in Etiopia e in Spagna nella battaglia di Guadalajara, come volontario tra i falangisti di Franco. Era un uomo intriso di fascismo, fedele al regime, almeno fino al 1939, ma questo non gli impedì di riconoscere l’infamia di quelle leggi.

A Padova frequentava i Bassani, famiglia ebrea, e nella caserma di artiglieria, dove formava le reclute, non nascondeva queste sue frequentazioni, suscitando lo sgomento tra i soldati già condizionati dalla martellante propaganda antisemita del regime fascista.

Quest’uomo, conosciuto nel mondo come Giusto tra le Nazioni (la più alta onorificenza che Israele riconosce a un non ebreo che ha salvato ebrei durante il genocidio nazista) e il cui albero nel Giardino dei giusti di Gerusalemme cresce al fianco di quello dedicato a Simon Wiesenthal (il grande cacciatore di nazisti), in Italia è stato ignorato per quasi tutta la sua vita. Non è morto in miseria, ma ha fatto molta fatica a tirare avanti. Lui che era stato tra i volontari legionari di Spagna benedetti dal Papa prima di andare a combattere contro i comunisti, non ha mai ricevuto alcun riconoscimento dalla Chiesa, nemmeno il giorno del suo funerale e tantomeno dall’Msi (Movimento sociale italiano), nelle cui fila militavano moltissimi ex repubblichini di Salò, solerti applicatori delle leggi razziali.

Durante la seconda guerra mondiale, Perlasca, congedato forzosamente per questa sua «tenerezza filoebraica», lavorava per una ditta di import-export e girava per l’Europa, soprattutto nei paesi dell’est. Quando arrivò a Budapest (Ungheria) la città era in mano agli spietati nyilas, milizie naziste ungheresi appoggiate dai tedeschi. La storia di quei drammatici mesi è ormai conosciuta: Perlasca si fece passare per diplomatico spagnolo, in questo modo potè trattare con i vertici del governo ungherese e mettere in salvo nelle sedi e nelle case della legazione spagnola migliaia di ebrei altrimenti destinati ai campi di sterminio.

C’è però una vicenda rimasta irrisolta e che incrocia la storia di un altro Giusto tra le Nazioni: Raoul Wallemberg, ambasciatore svedese a Budapest, a cui viene attribuito il merito di aver salvato i 120 mila ebrei che vivevano nel grande ghetto della città e la cui distruzione totale era stata decisa dai nazisti. Questa attribuzione è stata fatta dopo la deposizione di Pal Szalai, capo della polizia dei nazisti ungheresi, processato per crimini di guerra. Szalai ha sostenuto, infatti, che quel salvataggio fu il risultato di una mediazione condotta da lui stesso e da Wallemberg con i nazisti tedeschi, ma il diplomatico svedese non potè mai confermare o smentire perché fu fatto prigioniero dai russi e morì in Unione Sovietica.
Perlasca sostiene che questa ricostruzione non sia vera e che Szalai avrebbe mentito per evitare la condanna a morte. La decisione di salvare il ghetto ebraico di Budapest, secondo l’italiano, fu invece presa dopo un drammatico colloquio, avvenuto il 6 gennaio del 1945, tra lui ed Erno Vajna, feroce antisemita, fratello del ministro degli Interni ungherese e capo supremo di tutte le milizie naziste. Insomma, il padrone assoluto della città. Perlasca aveva saputo dalle sue fonti che i nyilas stavano concentrando tutti gli ebrei di Budapest nel grande ghetto per poi dargli fuoco. Dopo quel colloquio e a partire dall’8 gennaio, i nazisti ungheresi fermarono il trasferimento degli ebrei nel ghetto.

Come avrebbe fatto Perlasca a convincere Vajna a non distruggere il ghetto? La ricostruzione di quei fatti, riportata nel libro “Giorgio Perlasca. Un italiano scomodo” (Chiarelettere), è molto credibile: l’Ungheria stava capitolando sotto l’assedio dei russi e la Spagna neutrale e fascista rappresentava l’unica via di salvezza per i nazisti ungheresi. Perlasca in quel colloquio fece proprio leva su questo aspetto e promise l’invio di un telegramma di rassicurazioni a Madrid.

Alla fine del conflitto, anche il comportamento degli spagnoli nei confronti di Perlasca fu molto discutibile. Non ci fu un riconoscimento ufficiale dell’opera svolta dall’italiano. Anzi, il segretario generale dell’ambasciata Angel San Briz, che lasciò Budapest il 29 novembre del 1944 per rifugiarsi in Svizzera, nelle interviste in cui raccontava il suo ruolo fondamentale nel salvataggio degli ebrei ungheresi, non citò mai il nome di Perlasca. Eppure la legazione spagnola e la sua attività in favore degli ebrei fu tenuta in piedi solo grazie all’intraprendenza dell’italiano e al coraggio dell’avvocato ebreo della legazione Zoltan Farkas. Era questa strana coppia che salvava migliaia di persone dalla furia nazista.

Il problema della memoria si ricollega anche al ruolo degli storici. Subito dopo la fine della guerra Jeno Levai, ebreo e storico di Pest, sapendo dell’attività fondamentale svolta da Perlasca in quella trattativa, gli chiese un memoriale per scrivere il suo “Black book” (“Il libro nero”). Con sua grande sorpresa, Perlasca scoprì che Levai non utilizzò il suo memoriale e non citò il colloquio con Vajna per il salvataggio del ghetto. Una scelta, si presume, dettata sia dall’esigenza di non attribuire meriti alla Spagna fascista di Franco sia per non mettersi in cattiva luce con i russi che avevano il controllo dell’Ungheria.
Wallemberg e Perlasca sono entrambi, e a ragione, Giusti tra le Nazioni. La loro opera è stata decisiva per salvare molte vite nella Budapest occupata dai nazisti. La luce del primo ha però oscurato un pezzo di verità, contribuendo a mantenere per quasi mezzo secolo nell’ombra la figura di un uomo giusto.

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Pubblicato il 22 Maggio 2010
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