La doppia schiavitù degli imprenditori, dal gioco agli usurai

In molti hanno dovuto chiudere le aziende o venderle a causa dei debiti contratti con gli usurai ma anche per quell'irrefrenabile dipendenza dal gioco d'azzardo. Molti provengono dalle province di Varese e Como

Oberati dai debiti e sull’orlo del fallimento eppure la malattia del gioco li portava a chiedere ancora soldi agli uffici di cambio degli usurai. E’ questo lo scenario inquietante che sta dietrol’importante operazione dei carabinieri di Como che ha portato all’arresto di 8 persone e alla chiusura di due uffici dove, in teoria, l’unica operazione possibile era quella di convertire euro in franchi svizzeri.

Quegli uffici, così alla luce del sole proprio all’ingresso del casinò di Campione d’Italia, si trasformavano per facoltosi giocatori in una trappola dalla quale uscire era quasi impossibile. Molti di loro, la quasi totalità, non si accorgeva nemmeno di quello che stava accadendo loro, alle loro aziende sempre più sfiancate, alle loro famiglie. Solo uno, in preda ad un momento di disperazione totale, ha parlato e ha denunciato quello che gli stava accadendo e grazie a questa testimonianza il Nucleo operativo e Radiomobile di Campione d’Italia e il comando provinciale di Como hanno potuto inserire l’ultimo tassello per arrivare all’arresto degli estorsori.

Per i campionesi era normale che ci fosse qualcuno che prestava soldi, in fondo lì c’è un casinò e sui tavoli non si puntano le noccioline, ma quando si è arrivati a scoprire che c’erano imprenditori che chiedevano 100 mila euro e ne dovevano restituire 500 mila nel giro di qualche mese allora si è capito che c’era qualcosa che non andava.

Sono centinaia le vittime del gioco e dell’usura, giocatori patologici che dall’avere una catena di alberghi si sono ritrovati senza più nulla prestito dopo prestito. In un caso i carabinieri hanno accertato un usura da 4 milioni di euro ai danni di un imprenditore mentre non mancano prove di versamenti da 40-50 mila euro al mese da parte di alcuni giocatori. Questi erano i cosiddetti "piani di rientro" proposti dai vari Castelluccia, Santonicola o Muzzopappa che da dietro il bancone stringevano il nodo della cravatta degli imprenditori fino a far saltare il banco.

Così agivano i cambisti che puntavano i giocatori più facoltosi nel momento più nero del loro incessante giocare: "hai finito i soldi? – chiedevano – so io chi te li può prestare". Così finivano negli ufficetti a due passi dal casinò imprenditori varesini, comaschi ma anche del centro e del sud Italia. Il cambista faceva consegnare un assegno in bianco al giocatore, erogava il prestito e poi non attendeva più di 48 ore chiamando la vittima e annunciando che sarebbe andato ad incassare con l’aggiunta dell’8-10%, quello che loro definiscono il tasso di cambio o la commissione. L’imprenditore in difficoltà cercava di temporeggiare e allora i cambisti proponevano il loro piano di rientro, l’arma letale che legava ad una corda i giocatori.

Così è stato per almeno 15 anni a Campione d’Italia nel silenzio sempre più irreale del piccolo centro, ex-clave italiana in territorio elvetico che vive solo di casinò e niente altro.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 28 Luglio 2010
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