Magrebini e albanesi i più colpiti dalla crisi

Secondo i dati di Smail, il sistema di monitoraggio annuale delle imprese e del lavoro della Camera di Commercio, durante la recessione i più penalizzati sono stati i lavoratori immigrati impiegati nell'edilizia e nel manifatturiero

In Italia il lavoro degli stranieri è necessario e la conferma è arrivata proprio dalla crisi: nonostante la drammatica recessione dell’economia negli ultimi due anni, il loro numero tra gli occupati, nel secondo trimestre del 2010, è cresciuto a livello nazionale di 171 mila unità (Fonte: Istat).
I lavoratori stranieri sono un decimo dell’intera forza lavoro nazionale: 2.796.000 secondo il Dossier Caritas/Migrantes, 3.266.000 secondo il rapporto annuale Inail. Sono per lo più dipendenti (84,8%) non qualificati (73,4%) che lavorano nei servizi (54,5%) e nell’industria (33,6%).
Ma se in genere i lavoratori stranieri si distinguono per la loro disponibilità a svolgere un’ampia gamma di mansioni, soprattutto in quei settori meno appetibili per gli italiani, con la crisi in alcuni settori specifici, come il manifatturiero e le costruzioni, si sono evidenziate delle variazioni significative.
In provincia di Varese gli stranieri sono 62.537, di cui 28 mila hanno un’età compresa tra i 30 e i 59 anni. Sono presenti oltre venti nazionalità e tra le prime dieci troviamo: albanesi (9683), marocchini (8257), rumeni (4743), tunisini (2303), ecuadoriani (2158), ucraini (2120), pakistani (2021), peruviani (1611), cinesi (1544), bengalesi (1238).
Nell’annus horribilis dell’economia, secondo i dati forniti da Smail – il sistema di monitoraggio delle imprese e del lavoro della Camera di Commercio -, l’occupazione dei lavoratori immigrati ha avuto una leggera flessione: si è passati, infatti, dai 21.601 occupati del 2008 ai 21.049 del 2009. La variazione significativa riguarda invece la distribuzione del lavoro a seconda della nazionalità. È diminuita l’occupazione tra gli immigrati provenienti dall’Albania, dall’Africa del nord e del centro, ovvero le tre comunità che hanno caratterizzato i primi flussi di immigrazione in provincia. La spiegazione è dovuta al fatto che la crisi si è fatta sentire soprattutto nel manifatturiero e nel settore delle costruzioni, dove la maggior parte degli occupati sono appunto magrebini e albanesi, cioè appartenenti al primo flusso migratorio. L’occupazione è invece aumentata tra gli immigrati dell’Europa dell’Est, del Sud America e dell’Asia, in quanto comunità in genere impiegate nel terziario. La ragione di questa variazione è quindi dovuta alla marcata segmentazione del mercato del lavoro.
«La fotografia fatta dalla Camera di Commercio è precisa – spiega Martine Illghen presidente dell’Anolf, Associazione nazionale oltre le frontiere – . In questi due anni dai nostri uffici sono passati molti immigrati senza lavoro e si tratta per lo più di magrebini e albanesi impegnati nell’edilizia. Notiamo che i nordafricani rimasti senza lavoro stanno migrando verso altri paesi europei, come la Germania, mentre altri hanno già fatto rientrare le famiglie nel paese di origine. I pakistani e gli indiani, impiegati nella ristorazione, ne hanno risentito meno».
Un’altra tendenza per chi ha perso il lavoro è quella di mettersi in proprio, come conferma Oriella Riccardi della segreteria della Cgil. «Una parte degli immigrati rimasti senza occupazione ha aperto la partita iva, inventandosi un vero e proprio lavoro per lo più nel commercio. C’è chi ha deciso di spostarsi in altre regioni dove assumono, come il Veneto. Altri ancora hanno fatto rientrare la famiglia nel paese di origine. Si tratta per la maggior parte di magrebini e africani. Mentre per gli immigrati ucraini, moldavi e rumeni, impiegati come colf e badanti, la crisi si è fatta sentire meno. Tra l’altro il tasso di assunzione regolare in questi casi supera il 70 per cento».
Il dato fornito dal Sistema di monitoraggio annuale delle imprese e del lavoro della Camera di Commercio, secondo i responsabili dello sportello immigrati delle Acli, è confermato dalla diminuzione dei ricongiungimenti famigliari in alcune comunità straniere. «Di solito in questi anni la maggior parte dei ricongiungimenti riguardava marocchini e albanesi. Nell’ultimo anno sono diminuiti, così come sono diminuite le richieste di cittadinanza, perché la mancanza di lavoro ha fatto precipitare i loro livelli di reddito». 

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 28 Settembre 2010
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