“Finalmente sento il calore delle dita sulla faccia”

Parla Carla Mari, tornata nella sua casa dopo l'operazione all’ospedale San Gerardo di Monza dove le sono state trapiantate le mani: "Voglio tornare a viaggiare"

Carla Mari con la sua famiglia«Non ho mai dubitato, ci ho sempre creduto. Come in questi giorni che ho continuamente in testa quella canzone di Morandi che finisce con “finchè non suona la campana vai”. È così che ho vissuto questi anni e soprattutto le ultime settimane». Carla Mari è tornata a casa sabato, a Gorla Minore, con le mani appena trapiantate, dopo un intervento unico al mondo all’ospedale San Gerardo di Monza. A ottobre scorso l’hanno chiamata dicendo che era stato trovato un donatore, una donna di Cremona. Da allora, dopo tre anni senza mani e senza piedi, persi in seguito a una grave infezione, la vita è cambiata un’altra volta.
Mentre parla, Carla si strofina le dita delle mani, come un tic. Un tic felice. «Sento la mia mano che mi tocca la guancia, sento il calore, non la freddezza della protesi – racconta ancora emozionata -. Prima mi sono persino asciugata con la salvietta». Lo dice ridendo Carla, ma con gli occhi lucidi, circondata dal marito Giovanni, dai figli Benedetta e Matteo con la fidanzata. Tutti nel salotto di casa, con una precisazione: «Mi stanco facilmente, stiamo selezionando con chi parlare, ma Varesenews era il mio contatto con il mio territorio, anche in ospedale, ogni mattina se potevo».

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Com’era la vita in ospedale?
«Sembrava di essere in prigione, ora finalmente sono a casa. Era angosciante in quella camera sterile, (guarda il marito e i figli) ma avevo un obiettivo davanti, una speranza».

E dopo l’operazione?
«I primi sette o otto giorni vedevo nei medici la tranquillità. Mi hanno rasserenata. Nei loro occhi c’era molta cautela, ma anche molto entusiasmo. Sembrava andasse tutto meglio del previsto. Ed era così. Anche per loro era la prima volta che si affrontava un caso del genere, non c’era una casistica su cui basarsi».

Quale è stato il suo primo pensiero dopo l’operazione?
«Di essermi risvegliata dall’anestesia. Poi il dolore c’era, sicuramente, e si rimaneva intontiti. Ma il primo scoglio era passato. C’ero ancora. Poi ho visto le mani».

Ma non sentiva già di poterle muovere…
«Non subito. Già il giorno dopo. Mi hanno detto di non esagerare, ma che era un bene. Ora non devo infiammare i tendini, ho degli esercizi giornalieri da fare».

Cosa ha apprezzato di più una volta tornata a casa?
«Il cibo (ride), come tante altre persone che tornano dall’ospedale. A parte gli scherzi, non c’è una cosa che ho apprezzato, se non il fatto di essere a casa, nel calore dei miei famigliari e amici».

Come stanno le mani?
«(le guarda, muove le dita, piano). Si muovono, vede. Poco ma si muovono, sento il calore nelle dita, le sento mie. Le sento pesanti, ma è tutto nella norma, mi hanno detto».

Che obiettivo si era posta per superare quel momento?
«Dopo tre anni con le protesi, non vedovo l’ora di tornare a casa ad accarezzare i miei figli, mio marito. Ma non solo: stringere la mani delle persone, applaudire agli spettacoli, fare quei piccoli lavoretti femminili che a me piacciono tanto».
Giovanni, il marito: «Anche un eventuale nipotino da accarezzare».
I figli ridono. Carla, li rassicura: «Lo so, intendiamo in futuro. Non ho potuto godermi i figli perchè ho lavorato molto, adesso mi piacerebbe recuperare con un nipote, con queste mani».

Per il futuro?
«Alcuni giornali in questi giorni hanno scritto che vorrei tornare a lavorare. Vorrei dire che non è assolutamente vero. Non mi interessa. Ho lavorato 33 anni, ho la mia pensione e non mi necessità lavorare. Adesso penso a riprendermi e a godermi la famiglia».

In questi giorni è stata anche molto al centro dell’attenzione, è stato un caso unico al mondo… «Non mi piace avere così tanti occhi addosso. Anche nella vita di tutti i giorni, prima di tutto questo, non mi piaceva. Persino alla conferenza stampa l’altro giorno, se avessi potuto, sarei scappata dalla porta di emergenza. Ma so che ho ricevuto un dono, devo accettare la situazione. Anche per i medici che mi hanno concesso questa possibilità. Devo molto a loro».

Nel cassetto ha un sogno particolare?
«Mi piacerebbe viaggiare, anche piccoli viaggi, senza l’inghippo della valigia per le protesi. Senza doversi occupare anche alle protesi di scorta. Ora posso pensare di fare qualche viaggio libera. Poi magari riuscirò ad alzarmi dal letto senza chiedere niente a nessuno, mettermi con le mie mani le protesi delle gambe e andare in bagno. Questo è un traguardo possibile».

Non ha mai pensato che non ce l’avrebbe fatta, che non avrebbe retto la situazione?
«Mai. L’ho detto anche a mio marito e ai miei figli. Se siete contrari ditemelo, ma faccio quello che voglio. E ormai avevo deciso, avrei percorso questa strada».

Quali pericoli adesso?
«Il rigetto, ne sono consapevole. Ma sembra che il rischio sia ridotto al minimo. Dovrò rimanere controllata, è normale, lo so. Ma ho fiducia, ci credo». 

Carla si tocca il viso con il dorso delle dita.
Si accarezza e sorride: «E questa mattina, così, mi sono spalmata la crema da sola».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 15 Novembre 2010
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