“Un immigrato è una persona, non un problema”
Il 21 ottobre scorso una ragazzina di colore veniva aggredita e insultata fuori dalla scuola Dante. Gli studenti e l’insegnante di filosofia e storia della classe seconda G del Liceo classico «E. Cairoli» partendo da quell'episodio hanno fatto una riflessione sull'importanza del confronto e dell'accoglienza
Egregio Direttore,
purtroppo in Italia la scuola sembra in grado di conquistare l’attenzione del mondo dell’informazione solo per episodi di cronaca in grado di solleticare la curiosità pubblica. Siamo consapevoli che la scuola, come luogo di educazione e crescita democratica, possa apparire poco affascinante. Eppure pensiamo possa essere utile – per tutti e in questo momento – rendere pubblica una esperienza assolutamente normale, condotta nella nostra classe durante il normale svolgimento delle lezioni.
Come Lei saprà, lo scorso 21 ottobre a Varese, nella zona in cui hanno sede alcuni istituti scolastici (e tra questi il nostro Liceo classico), una ragazza della vicina scuola media è stata aggredita da un quarantenne con offese ed insulti razzisti, che alludevano al colore della sua pelle. Il nostro insegnante di Filosofia e Storia ha ritenuto che noi, come classe, come studenti, come cittadini, avessimo il dovere di prendere una posizione su un episodio avvenuto proprio al di là dei vetri della nostra aula. Il nostro insegnante ha ritenuto che fosse un suo dovere sollecitare una riflessione in proposito (anche perché l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione non rimanga solo un’etichetta su qualche circolare) e che fosse un nostro dovere esprimerci con gli strumenti che sono propri della scuola: lo studio, l’analisi, il confronto.
Gli studenti, invitati dall’insegnante a suggerire un’azione che potesse rappresentare una risposta rispetto a quanto avvenuto, hanno pensato che fosse utile ripercorrere la storia dell’emigrazione italiana tra Ottocento e Novecento ed avere la possibilità, in un secondo tempo, di dialogare con un immigrato giunto in tempi recenti nel nostro Paese. Abbiamo così cercato di comprendere le ragioni che, da sempre, spingono gli uomini ad abbandonare il posto in cui sono nati per affrontare disagi, sofferenze, resistenze e ostilità, nella speranza di una migliore condizione di vita. Certamente emozionante e coinvolgente è stata la testimonianza di Jacques Amani, che ancora in questa sede vogliamo ringraziare per la sua disponibilità. Amani ci ha raccontato il suo viaggio dalla Costa d’Avorio in Francia e da qui in Italia. Ci ha raccontato del suo arrivo a Milano, dei lavori che è stato costretto a fare per sopravvivere, sino al suo pieno inserimento nella società ospitante. Ci ha raccontato che lasciare il proprio Paese non è una scelta facile e che il viaggio che ogni immigrato intraprende (che ha sempre intrapreso) non è un percorso facile. Ci ha fatto capire, soprattutto, che un immigrato è una persona. E non può essere ridotto solo a «problema».
Questa esperienza non aveva la pretesa di cambiare noi stessi, le nostre opinioni o il mondo in cui viviamo. Abbiamo avuto però la conferma che, come ha scritto Jean-Pierre Vernant, «ci si conosce e ci si costruisce mediante il contatto e lo scambio con l’altro». «Per essere se stessi – dice ancora il celebre studioso dell’età classica –, è necessario proiettarsi verso ciò che è estraneo, prolungarsi in esso e per mezzo di esso».
Ecco, forse grazie a questa esperienza abbiamo compreso un po’ meglio ciò che accade intorno a noi. Con le modalità proprie della scuola, con i suoi ritmi lenti, con le voci pacate, con lo spazio per la riflessione e per il confronto.
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