Il Benigni nazionale e l’Inno di Mameli

L’ospite più atteso del festival arriva alle dieci e mezza di sera, su un cavallo bianco, sventolando il tricolore. Roberto Benigni arriva a metà della terza serata di Sanremo, quella dedicata alla celebrazione del 150esimo dell’unità d’Italia, come un giullare serio che, con l’incontenibile energia di sempre, sale sul palcoscenico accolto dagli applausi.

«Siamo qui per parlare solamente dell’inno di Mameli». Premette: e lo ripete tutte le volte che esce "fuori strada" nei suoi racconti.  «Parlo solo dell’Inno di mameli. Tanto in questo momento di argomenti salienti di cui non ce n’è….». E ovviamente, questo è solo l’inizio di un lungo monologo che finisce per parlare di tutto, anche – e tanto – dell’attualità. Magari parlando  dell’unità d’Italia: «Centocinquant’anni sono pochissimi per una nazione. L’italia è giovanissima… si può dire che sia minorenne».  E alla fine,tra un "adesso parlo dell’Inno" e l’altro, salta fuori pure Ruby Rubacuori, «che bastava domandare in ambasciata per sapere se Mubarak si chiamava Rubacuori di cognome, per sapere che non era suo zio».

Ma poi si impegna e parla di Garibaldi «un mito, altro che Beatles e Rolling Stone». E poi spiega, con l’incredibile misto di ironia e saggezza, l’Inno di Mameli, passo dopo passo. «Amate l’Italia, amate la bandiera». E ancora i miti che la storia e l’Unità l’hanno fatta: venti minuti di lezione di storia, che la metà degli spettatori saran decenni che on ascoltano.
Una "lezione magistrale" che si conclude con un canto, sommesso: il suo personale Inno d’Italia, cantato come un italiano qualunque, sugli applausi del pubblico. Che per "tenersi uniti" e sentirsi davvero italiani  hanno dovuto aspettare Gianni Morandi e il festival della canzonetta Italiana.