“Resistenza, riscatto di un popolo”

L'intervento di Maria Rosaria Fosforino, dell'Anpi, in occasione del 25 aprile nella cittadina

Riceviamo e pubblichiamo il discorso pronunciato il 25 aprile da Maria Rosaria Fosforino, oratrice ufficiale dell’Anpi in occasione delle celebrazioni. Crediamo sia d’interesse anche alla luce dei commenti sull’articolo del 25 aprile a Gallarate, che danno valutazioni diverse sul discorso.

Sono onorata di poter celebrare e ricordare insieme a voi le donne e gli uomini che scelsero di lottare e liberare il nostro Paese dal nazi-fascismo. Il 25 aprile del 1945 terminava la guerra di liberazione combattuta dai partigiani contro l’invasore tedesco ed il fascismo che ne era stato alleato e complice. Insomma allo sfacelo dell’Italia mussoliniana rispose, per nostra fortuna, l’Italia partigiana.  
Solo grazie alla Resistenza, l’Italia potrà infatti, a guerra finita, non essere tartassata nei trattati di pace. Non sarebbe bastato l’apparato dell’esercito nazionale ricostituito a ridarci la dignità perduta. Una parte dell’Italia ha dimostrato coraggiosamente di non essere ignava, di non attendere semplicemente l’arrivo di un “eroe liberatore”.
Fu in gran parte la lotta partigiana a dare al nostro paese ancora la possibilità di giocare un ruolo non mortificante sullo scenario internazionale. 
La lotta partigiana fu il riscatto di un intero popolo e va ricordata oggi come motivo di grande orgoglio. Quella lotta ancora deve unirci tutti, e sicuramente unisce tutti coloro che credono fermamente nei valori democratici, che sono alla base della nostra sempre attuale costituzione.
Permettetemi di citare a riguardo Piero Calamandrei: “se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché è lì che è nata la nostra costituzione”.
La nostra costituzione, come ci insegna Calamandrei, è il lascito più grande della Resistenza. Non è semplice retorica. Donne e uomini hanno combattuto uniti contro il nazi-fascismo rischiando la propria vita o quella dei propri familiari, adoperandosi per dare finalmente all’Italia uno Stato equo, giusto e democratico.
La nostra Costituzione, frutto dell’intelligente confluenza di tutte le forze antifasciste, si fonda su quella coscienza nazionale e su quei valori che il Risorgimento aveva suggerito e teorizzato e che la Resistenza aveva poi incarnato e vivificato. Fu un patto tra esseri umani finalmente liberi, la più nobile e alta espressione dei valori democratici.
Con la nascita della Costituzione i governi che da allora ad oggi si sono avvicendati non hanno mai potuto dimenticare o eludere completamente le istanze di democrazia, libertà, lavoro e legalità volute dal popolo e condensate in quello straordinario documento da menti eccelse ed illuminate. Non basta evidentemente la Costituzione per mantenere alti e vivi quegli ideali e quei comportamenti virtuosi che hanno fatto grande l’Italia. Occorre che si continui, oggi più che mai, a vigilare.
Per questo l’Anpi continua nella sua opera di difesa e di memoria. Per questo chiediamo a tutti di non abbassare la guardia
Non bisogna dimenticare mai le origini della nostra democrazia. Alla liberazione d’Italia si giunse grazie al sacrificio di tanti giovani che, pur avendo orizzonti politico culturali ampi e variegati, si qualificavano con lo stesso aggettivo: quello di partigiani.
Per tutti gli italiani democratici la parola “partigiani” designa coloro che ebbero il coraggio e la sfrontatezza di aspirare ad un Italia libera dalla tirannide. Con forza quegli uomini si opposero ad un regime oppressivo che aveva condotto tutti alla guerra, alla povertà, ed alla negazione dei più elementari diritti umani.
La livella della morte non può farci dimenticare che in quello scontro vi erano due parti contrapposte: c’era chi stava con la dittatura e chi combatteva la dittatura.
C’era chi, caricato sui vagoni blindati veniva brutalmente deportato nei campi di concentramento e chi, a quei vagoni della morte, faceva da sentinella.
Le donne e gli uomini intimamente e profondamente democratici sono dalla parte di chi ha combattuto, di chi è morto per la libertà.
Anche Cassano Magnano ha subito dolorose perdite nella lotta partigiana. Vorrei ricordare i nomi di:
COLOMBO ALVAROS morto a SAN MARTINO il 15gennaio del 43 all’età di 18 anni
BONICALZA ALBINO morto a PARUZZARO il 16 marzo del 45 all’età di 20 anni
MAZZEL GIOVANNI morto a VALDUCCIA il 20 marzo del 45 all’età di 25 anni
BROGIOLI FRANCO morto a SAN GIORGIO CANAVESE il 24 giugno del 45 all’età di 19 anni.

Ed anche per loro, per la memoria di tutti i partigiani, si deve dire a chiare lettere che il revisionismo storico è solo fascismo retorico. Noi sappiamo bene che esiste una differenza essenziale tra la revisione, momento irrinunciabile del lavoro del ricercatore storico, e il revisionismo che possiamo definire come l’ideologia e la pratica della revisione programmatica. Se la prima ha valore storiografico scientifico, che si avvale sempre di citazioni e fonti autorevoli e tracciabili, la seconda si colloca sul piano dell’ideologia, del pregiudizio, del razzismo e della distorsione con finalità politica: si arriverebbe, per questa via, perfino a negare l’olocausto.
Ora, per quanto riguarda l’Italia, si deve notare anzitutto che il razzismo era assente o quasi, prima chi il fascismo iniziasse la sua campagna. Anche l’antisemitismo, come pregiudizio di massa, aveva scarso rilievo e non era un fenomeno consistente, comunque non paragonabile all’entità che aveva in altri paesi. Nel complesso si può affermare che un carattere nazionale degli italiani, presi nel loro insieme, era l’assenza di pregiudizi razziali e antisemitici, sia nella tradizione popolare sia nella cultura.
Doveva venire il fascismo con la sua esasperazione nazionalistica e l’ossessione imperialistica di Mussolini perché fosse modificato o almeno intaccato questo che era uno dei non molti aspetti di superiorità morale e civile degli italiani rispetto ad altre nazioni europee. A quel degrado la nostra costituzione rispose che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni sociali e personali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.” E’ questa la concezione di giustizia alla quale dovrebbero ispirarsi tutti i governi e i parlamentari degli anni a venire, perché è la giustizia sociale a generare la vera democrazia.
Voglio ora ricordare le donne della Resistenza, perché in fondo se oggi, come donna,  posso esprimermi liberamente è anche grazie a quelle donne. Non credo di dire il falso affermando che l’emancipazione femminile della donna italiana passa anche attraverso la sua coraggiosa partecipazione alla lotta di liberazione: è stato durante la Resistenza che la donna si è conquistata a diritto la possibilità, fino ad allora limitata, di avere un ruolo più attivo nella società civile, per esempio, ricevendo anche una  cittadinanza politica. Ricordiamo che, da lì a breve, la donna italiana avrà finalmente diritto di accesso al voto e alle cariche istituzionali.
Alle staffette e alle gappiste, dobbiamo aggiungere tutte le donne che parteciparono alla resistenza italiana, nascondendo feriti e prigionieri, raccogliendo viveri e indumenti, che operarono nelle fabbriche e nei campi e che scesero in piazza per manifestare.  Numerosissime donne, di ogni estrazione sociale, organizzarono veri e propri corsi di preparazione politica e tecnica, di specializzazione per l’assistenza sanitaria, per la stampa dei giornali e per la divulgazione di volantini di propaganda, a favore della lotta partigiana.
La volontà della donna di militare nella Resistenza fu profondamente consapevole e non condizionata da nulla se non dal desiderio di libertà e giustizia. Pensiamo, per esempio, che le donne non ricevevano neppure la cartolina precetto che obbligava gli uomini sottoposti agli obblighi militari a scegliere se arruolarsi con i repubblichini o a nascondersi, o più coraggiosamente a confluire nei partigiani.
Tuttavia, spesso, ancora oggi, quando si parla della donna nella Resistenza, si utilizza il termine di ruolo o contributo. La donna ha fatto la resistenza insieme agli uomini. In fondo, pensandoci bene, chi parlerebbe mai di contributo maschile nella resistenza?
Vi porterò l’esempio della varesina Tiziana Bonazzola, allora studentessa dell’Accademia di Brera.
Tiziana, nome di battaglia Bianca, era sempre in sella alla sua bicicletta, preziosa collegatrice fra le varie cellule partigiane. Tiziana percorse in sella alla sua bicicletta l’intero territorio provinciale con puntate anche più lontane. Va ricordata come la zona del varesotto fosse fortemente controllata da ingenti forze militari per la presenza di aziende belliche strategiche a cominciare da quelle aeronautiche, la Macchi, la Savoia Marchetti, la Caproni e la Isotta Fraschini.
Fra le tante operazioni che Tiziana portò a termine con successo, ricordiamo in particolare quella denominata “operazione Vittorini”. Il Vittorini, che diede il nome all’azione, era proprio il noto scrittore italiano di Uomini e no, Elio Vittorini appunto. Tiziana consegnava dei messaggi importanti all’ intellettuale antifascista, il quale si rifugiava in una villa che si trovava all’altezza della settima Cappella del Sacro Monte di Varese.
L’impegno dell’intrepida Bianca non si esaurì solo in questa peculiare funzione di messaggera, ma si estese a una serie di missioni in città e in provincia, dalla distribuzione di stampa clandestina, al trasporto e consegna di armi ai partigiani. Presto l’attività dell’inarrestabile Bianca si era intensificata a tal punto che la polizia nazifascista tentò di porre termine alle sue azioni.
Le diedero la caccia in modo più determinato e fu pertanto necessario farle cambiare zona d’azione. Tiziana come tante altre donne della Resistenza si trovò spesso in pericolo di morte per la sua delicata attività di messaggera per la libertà. Molte di loro perirono per consegnarci un paese migliore, un paese libero. Le donne della Resistenza insegnano come la libertà non sia un concetto astratto, vuoto, ma è fatto di partecipazione e condivisione.

Grazie a tutti
Viva le partigiane, viva la Resistenza

Maria Rosaria Fosforino, Anpi Cassano Magnago

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Pubblicato il 26 Aprile 2011
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