“L’Africa muore, non neghiamo le nostre responsabilità”
Docente all'Isis Daverio, Marco Viganò conosce bene il Corno d'Africa per averci vissuto diversi anni. Ha ancora interessi in Etiopia e una profonda rabbia
Marco Viganò, docente dell’Isis Daverio, profondo conoscitore dell’Africa per aver vissuto a lungo in Etiopia dove ha ancora molti interessi, parla dell’emergenza siccità e della carestia che minaccia migliaia di persone.
«Devo provare a dimostrare che il degrado organizzato da noi, nella nostra provincia ( è stato uno dei più strenui oppositori della cava a Cantello) e la disperazione dei veri ultimi degli ultimi nel corno d’Africa, sono la stessa cosa. Ban Ki Moon su molte grandi testate nel mondo cita che l’Etiopia ha una produzione agricola in crescita dell’ 8% all’anno. Fatti due conti, in nove anni l’Etiopia avrebbe raddoppiato la sua produzione alimentare. Dov’é l’errore di cotanta firma? La matematica é perfetta, garantisco. Otto di media sì, ma decrescita di produzione di cibo negli anni di carestia e soprattutto conferma della marginalità, in Etiopia, delle piogge in tre zone: il Tigray degli uomini al potere, il Sidamo degli ex alleati degli Italiani invasori, e Hararghe e Somalia, vaste e misere».
« “Non se ne parli” questa la reazione del Governo di Meles Zenawi. E un motivo valido lo ha l’uomo forte, fortissimo di Addis Abeba: la nomea di paese di fame e guerra non aiuta nessuno. La crescita reale dell’Etiopia degli ultimi quindici anni è stata impressionante. Da noi continua l’idea, invece, che chi va in Etiopia per turismo deve, quanto meno, essere un originale. Una mia amica prima di uno dei suoi viaggi più memorabili si é vista domandare molte volte se andasse ad adottare una di quelle bambine stupende. Insomma, se facesse anche lei la Madonna in Africa, a colpi d’adozione, dico come la cantante.
Un altro serio motivo per tralasciare la fame é stato, circa tre anni fa, la guerra in Somalia. Non si poteva parlare della fame grave che assillava la popolazione nel lato Etiopico delle basse terre occupate da pastori Somali. Bush aveva avuto bisogno dell’esercito Etiopico per acquietare al Qaeda nel corno d’Africa. Compito svolto bene e in fretta da uno dei migliori eserciti della forza di pace NU in Africa. La fame sparì non solo dalle cronache, ma soprattutto dalla pancia dei somali d’Etiopia, nell’Ogaden. Arrivarono settecentosessanta milioni di dollari da Washington, e furono spesi bene.
Fu per me un momento interessante. Ci fu attenzione per uno studio che avevo da poco pubblicato sulla causa della fame, e il Governo d’Abissinia forse usò quella voce etiopica fra le altre che imponevano un interesse e una risposta alla fame, su un paradigma nuovo: hai fame? Ti dobbiamo restituire il cibo che ti abbiamo tolto».
Una lettura particolare della cooperazione internazionale…
« La cooperazione deve diventare una somma di precisi e vincolanti contratti di restituzione. Mi spiego. Una donna di Koremi mi disse: “Marco, tu dici che la fame viene dalla terra, la terra che se ne va coll’acqua. Ma qui siamo sul ‘meda’, la terra é piana, quello é un problema delle scarpate. Mi parli dei tanti giovani da sfamare, ne vedo anche tanti partire, mentre noi coltiviamo la terra meglio di prima. A volte c’é il concime, e tanti muoiono della malattia. Dio non ci ama, ecco la verità, Non piove”.
La signora anziana, la pelle aggrinzita e gli occhi svegli, panni colorati leggeri ridotti a stracci ma vividi ancora come i suoi occhi, aveva sintetizzato un trattato di ecologia delle carestie. L’esodo, l’effetto limitato dell’erosione, a fronte di nuove terre coltivate e nuove tecnologie che aumentano la produzione. La malattia é l’Aids. Aveva perfettamente ragione, il modello a cui lavoravo, per spiegare l’avvicinamento delle fami si risolveva non in base a questioni di demografia o di agronomia. Era un fatto, sempre più, di egoismo dei ricchi. Mi arrabattavo per capire cosa avesse fatto delle fami una realtà che si ripete quasi due volte al decennio. Insopportabile, perché non ci sono i tempi sociali e meccanici per recuperare le relazioni e il capitale bestiame. Nella regione di Harar, dove Koremi é un antico villaggio di Arabi, si sono seccati due bei laghi su cui l’Imperatore Haile Selassie aveva contato per farne risorse turistiche. Non ci sono più, le paludi che restano sono ricche di uccelli migratori e stanziali. Il modello a cui avevo lavorato spiegava totalmente il ravvicinamento delle fami con il quadrato dell’incremento del biossido di carbonio sopra il lontano Mauna Loa, vulcano delle Hawaii dove la misura si fa dagli anni cinquanta. La fame é in una somma di gocce negate, nel monsone che si asciuga, nel grande potere dell’”uomo da consumo”: abbiamo cambiato il clima sprecando in cinquanta anni la risorsa combustibili fossili. Che, oltretutto, non torna. Come la purezza dell’acqua di Varese».

«Se la mancata pioggia é la causa prima della fame, il disordine é la concausa. Il disordine legato alla mancanza di un governo sin dal 1992 in Somalia. Ma non é il peggio. La sola ragione di base é la stessa che ha scatenato le rivoluzioni dei gelsomini nel nord Africa: non piove, il prezzo dei cereali va alle stelle, si vede la fame venire. Ci si aiuta, poi, ad un certo punto, finita fra tutti ogni riserva, si inizia a camminare. L’ho visto succedere, in Karamoja, Uganda. Si cammina verso il sole, come per riscaldarsi. Si cammina verso una speranza di cibo e di acqua. Si cade ai bordi di strade e sentieri. Voi non avete visto questo succedere, non posso descriverlo. Proprio non vi auguro di vederlo. La soluzione a medio e lungo termine sta nel nord, da noi, nel contenimento degli sprechi per prevenire il peggioramento delle carestie. Se i livelli di disordine atmosferico legati al nostro spreco restassero così, ha ragione Meles ed il Governo d’Etiopia: l’aumento di produzione copre ogni siccità. Con il tempo. Ma sappiamo che la situazione peggiora, come Ban Ki Moon avvisa nel suo articolo. Avremo sempre più mesi senza una goccia d’acqua al posto dei monsoni e molti morti per inondazioni in… Somalia! Per curare un episodio grave di carestia occorono aiuti, miliardi di dollari, ricorda Ban Ki Moon. Una doverosa parte della restituzione. Ma si avvicinano inesorabilmente fra loro, le fami. Li vogliamo tutti qui? Non gli affamati, che non hanno il modo di muoversi se non a piedi, ma la classe media, spinta al Mediterraneo.
Il caso dell’Eritrea é un emblema, un vero dittatore senza un senso della ragione economica accetta che molti dei suoi, proprio dei militari, fuggano. Meno giovani forti, meno dissenso interno e rischi personali».

Si istituzionalizzi l’aiuto allo sviluppo, la ricerca di semi di altro tipo, quelli che si piantano nella terra arida e crescono, si riorganizzino le strade rurali, sostengano i commerci locali di cerali, invece di gettare grano dai camion degli aiuti, come in corsa, nelle prossime settimane. Di nuovo fra quattro o cinque anni. Poi fra tre, alla prossima tornata ravvicinata di piogge mancate.
Fatiah di Koremi, e gli altri sereni Etiopi già vicini a Dio continueranno a pregare, anche per noi – poveri folli con tanti mezzi- e ad insegnarci le vie della giustizia.
Marco, Finale Ligure, 27/07/2011
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