Il fallimento di Paolo Crepet

Il celebre psichiatra è intervenuto all'assemblea annuale di Confesercenti

L’idea di Confesercenti di invitare uno psichiatra all’assemblea annuale era stata originale e azzeccata, perché la difficoltà che hanno oggi molti imprenditori non si manifesta solo sul piano economico, ma soprattutto su quello personale e mentale. Dopo quattro anni di crisi feroce, di stravolgimento del proprio business e di fronte a un mondo che cambia a un ritmo vertiginoso, un piccolo imprenditore puo’ anche pensare che sia lui a non funzionare più. E i suicidi negli ultimi anni testimoniano tragicamente questo senso di fallimento. Allora ben venga uno «strizzacervelli» di rango che possa parlare alla persona che sta dietro l’imprenditore.
Peccato che il fallimento sia stato proprio del celebre Paolo Crepet che è andato completamente fuori tema, incentrando la sua relazione sul problema della successione imprenditoriale e mettendo in fila una serie di luoghi comuni sui giovani piuttosto imbarazzante.
Se il mondo va male è colpa dei bamboccioni – si ricade sempre in questo stereotipo tutto italiano – che sono «nullafacenti», «sdraiati orizzontalmente sul divano», ignoranti, attaccati alle gonne delle mamme e al borsellino dei padri. Un quadro desolante in un mondo desolato dove impera, secondo il celebre psichiatra, «l’after hours» (andare oltre l’orario di chiusura).
«In questo Paese il merito c’è sempre stato – ha detto Crepet – noi siamo figli di Michelangelo e Leonardo non di Schettino. Lì dobbiamo tornare, altrimenti il nostro destino è il museo delle cere». Se la prende con le lauree facili conseguite a Barcellona e Sofia, con i genitori che si mettono in competizione con i figli, con i quarantenni che si definiscono ancora ragazzi.
La ricetta è semplice, ci vogliono: sacrifici e sudore («bisogna avere il coraggio di togliere ai figli»), curiosità («stay hungry, stay foolish» frase pronunciata da Steve Jobs all’università di Stanford e riadattata da Crepet) e passione perché solo così si ha successo nel lavoro. Non una parola su una classe dirigente, non solo politica, che ha impostato la società su un modello scellerato, separando l’intelligenza dalla manualità, svuotando il lavoro della virtù, l’unica qualità che lo rende nobile, imponendo la raccomandazione sul merito (ma occorre ricordare ogni volta il caso del consigliere regionale Minetti o le università lasciate in eredità dai baroni ai loro figli?), facendo passare un messaggio televisivo a dir poco devastante, di cui Crepet è parte integrante. Se il mondo va male la colpa non puo’ essere solo dei giovani che sono l’ultimo anello di una catena marcia forgiata consapevolmente dagli adulti. E non è vero che se conosci cinque lingue, hai tre lauree e venti master trovi facilmente lavoro. Per lo meno non in Italia.
Non nell’Italia costruita anche da Crepet.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 09 Ottobre 2012
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