“Le terre all’arsenico? Non dobbiamo smaltirle noi”

Intervista a Claudio Salini, amministratore delegato della Ics Grandi Lavori, la ditta che ha bloccato il cantiere della ferrovia. "E' Rfi che deve realizzare una variante"

Ingegner Claudio Salini, la sua azienda ICS Grandi Lavori Spa ha vinto l’appalto per la costruzione della ferrovia, però avete (temporaneamente) chiuso il cantiere con le opere al 40%. Perché si sono fermati i lavori per la costruzione della ferrovia Arcisate Stabio in Italia?
«Perché si è accertata una diffusa concentrazione di arsenico di origine naturale oltre i limiti imposti dalle vigenti norme. Questa circostanza ha impedito di disporre di queste terre secondo le originarie previsioni. Si pensava infatti a un loro riutilizzo sia all’interno del cantiere sotto forma di inerti per calcestruzzo che per la formazione di rilevati».

C’è chi vi accusa di non volere sostenere i costi dello smaltimento per risparmiare.
«E’ falso. Intanto la gara di appalto l’abbiamo vinta con un ribasso poco al disopra dei concorrenti. E poi, va detto che i costi di smaltimento delle terre non sarebbero a nostro carico, ma a carico di Rfi. La necessità dello smaltimento delle terre da scavo è un problema sorto in fase di realizzazione dell’opera, ricordiamo infatti che il sito di cantiere era percorso da una linea ferroviaria in funzione».

Chi deve agire?

«E’ la stazione appaltante che deve fare una apposita variante al progetto e definire se vuole smaltire, e conseguentemente ripartire immediatamente con i lavori, oppure risparmiare ed attendere per l’individuazione dei luoghi appropriati dove depositare le terre ed ottenere le necessarie autorizzazioni Amministrative dagli Enti preposti. Noi siamo gli esecutori».

Che ne sarebbe di quelle terre?

«Le ipotesi sono due. O smaltirle come rifiuti, ma é molto costoso, me ne rendo conto. Tuttavia permetterebbe l’immediata ripresa dei lavori e minori danni all’impresa. Oppure c’è un’altra soluzione più economica per Rfi, ma molto più onerosa per l’impresa a seguito dell’inattività del cantiere, il riutilizzo. Significa che il materiale, dietro predisposizione di apposito progetto, può essere utilizzato, ad esempio, per un ripristino ambientale, purché vi sia compatibilità tra il sito individuato e il materiale conferito».

Qual è la soluzione più probabile?

«Nel caso della Arcisate Stabio é stato scelto da Rfi di procedere con l’individuazione di un sito compatibile con l’arsenico riscontrato, sito che giocoforza deve rientrare nella stessa area geografica. Dalle analisi risulta infatti che solo pochi chilometri più in là, l’arsenico ha concentrazioni diverse, dunque lo spazio a disposizione per l’individuazione delle aree autorizzate a tale soluzione è relativamente poco».

Se abbiamo capito bene, l’indiscrezione che il deposito temporaneo delle terre ad Arcisate potrebbe divenire definitivo, è reale.

«E’ un’ipotesi che stanno studiando, sarebbe comunque soggetta ad autorizzazioni e il tutto dovrà essere a norma e con un lavoro di ripristino ambientale approvato dagli Enti preposti».

Il Presidente Maroni ha affermato che il blocco deriva da un contenzioso tra Rfi e Ics Grandi Opere.
«La questione è duplice, ma il problema è uno: va risolta la questione di dove conferire queste terre, sennò il cantiere non può ripartire. La Regione sta lavorando per risolvere il problema dell’individuazione delle aree. Quanto a Rfi è vero che abbiamo un contenzioso, perché la situazione si è un po’ complicata a seguito del loro arroccamento sulla posizione. Purtroppo il problema è emerso a lavori iniziati: ribadiamo per chiarezza di tutti sia in fase di gara che in fase di progettazione esecutiva, la vecchia linea ferroviaria era ancora attiva e questo ha comportato un limite alle indagini in fase di progettazione definitiva e di approvazione degli enti».

Quando avete scoperto l’inghippo?

«Solo nel maggio del 2011 un nostro fornitore ha effettuato delle analisi più approfondite, necessarie per trasformare le terre in inerti da calcestruzzi, che evidenziavano per la prima volta la presenza di arsenico oltre i limiti di legge. Nel settembre del 2011 abbiamo rappresentato a Rfi che c’erano maggiori oneri, ma che si fosse presa subito una decisione i tempi di esecuzione si sarebbero rispettati. A seguito di un diniego da parte di Rfi allo smaltimento ed a nostra rescissione del contratto a ottobre interveniva la Regione che con gli enti locali ed Italferr/ Rfi ipotizzavano una soluzione temporanea ed una successiva definitiva nel ripristino della ex cava Rainer, ma quest’ultima era soggetta ad autorizzazioni amministrative dagli enti locali preposti, che però non sono mai arrivate».

E poi cos’é accaduto?

«L’accordo con Rfi con queste ipotesi, accettato dall’Impresa per evitare un blocco sine die dei lavori in attesa delle necessarie autorizzazioni, è stato ratificato nell’ottobre del 2012 con previsione di ottenere i permessi entro novembre 2012, poi spostato su richiesta di Rfi ad aprile 2013».

Come si è proceduto in questa fase?

«Nel frattempo Rfi ci ha corrisposto parte delle pattuizioni, che poi però si è integralmente ripresa combinando penali e decurtazioni contabili. A maggio, decorsi i termini della soluzione paventata e non avendo ricevuto risposta su come intendevano risolvere il problema delle terre abbiamo deciso di far causa». 

E la cava Rainer?

«Mentre per quanto riguarda l’individuazione del sito e le relative autorizzazioni spetta a Rfi sollecitare gli enti locali per l’ottenimento. Da novembre 2012 noi abbiamo il cantiere organizzato per fare dai 4ai 6 milioni mese di produzione che lavora con soggezioni enormi poiché non può più scavare, cioè non siamo messi in condizione di lavorare alle condizioni a cui i è stato affidato il contratto. Però paghiamo stipendi, assicurazioni, macchinari. Il cantiere è un’azienda, questo lo devono capire tutti, e noi stiamo lavorando da oltre 2 anni in continua perdita in questo modo senza una soluzione definitiva. Abbiamo detto basta».

Quindi è Rfi a cui chiedete di sbloccare la situazione.

«Chiediamo che sia studiata una soluzione e che ci venga proposta. Ics si è assunta l’onere di costruire una ferrovia in tre anni e mezzo riutilizzando i materiali in eccedenza degli scavi per farne calcestruzzo, ma non quello di creare una discarica o smaltire centinaia di migliaia di metri cubi di terre. Le faccio un esempio. Se lei fosse chiamato a costruire una casa di due piani e un piano interrato e poi le venisse detto successivamente che lo scavo del piano interrato non si può più vendere e deve essere smaltito ad un costo pari ad un terzo del valore dell’appalto originario, nessuno potrebbe sostenere che deve farlo allo stesso prezzo».

Insomma, voi ritenete di avere fatto il vostro…

« Vorrei essere chiaro una volta per tutte: ancora oggi, a distanza di tre anni ed a circa la fine degli originari tempi contrattuali, l’opera è ineseguibile, o meglio non appaltabile. Ciò non per colpa dell’impresa, come qualcuno tenta di insinuare, ma perché senza l’identificazione di un luogo autorizzato dove allocare le terre in esubero oppure senza lo smaltimento delle stesse non è possibile proseguire i lavori per nessuna impresa! L’impresa ha fatto un’offerta competitiva su un progetto e su dati messi a disposizione da Rfi che hanno superato una conferenza di servizi. Questo contratto prevedeva di usare le terre per fare calcestruzzo. Senza questo apporto, abbiamo dovuto acquistare la sabbia e la ghiaia e questo ci è stato effettivamente riconosciuto. Ora però Rfi deve decidere cosa farne di queste terre con l’arsenico ed evidentemente pagare a noi o ad altri questo lavoro. Ripeto, questo genere di varianti progettuali è onere delle stazioni appaltanti».

L’inchiesta della procura di Varese vi tocca?

«Non lo sappiamo, abbiamo appreso la notizia dalla stampa. Anche noi però abbiamo esposto alla procura quello che è accaduto, per chiarezza di tutti. In ogni caso anche l’atto di citazione che abbiamo presentato è un documento che riassume tutto ciò che è accaduto e serve per tutelare l’azienda».

Bene, ci sembra anche di aver capito che vi sono ancora dei margini di trattativa. Ma come mai in Svizzera le cose sono andate lisce? Nel cantiere elvetico ci siete sempre voi.

«Ci auspichiamo che l’intervento della Regione aiuti nella ricerca di una soluzione sia per questione delle terre sia nei rapporti con Rfi. In Svizzera i quantitativi di terra in gioco sono un ventesimo di quelli del cantiere italiano, e comunque sono state smaltite. Poi c’è la burocrazia da loro è molto più snella e risponde ai problemi ed i contenziosi in tempo reale senza fermare il cantiere».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Settembre 2013
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