Quelle “pizze” appese al muro diventate oggetti da museo
La tecnologia digitale ha sconvolto il modo di proporre le pellicole per le proiezioni. Quarant’anni di cinema raccontati da uno “spacciatore di sogni”
Non si è ancora depositata la polvere, che sembra un museo: aprire la porta della sala di lavorazione e proiezione del cinema San Giorgio di Bisuschio, che ha “messo in soffitta” le pizze di celluloide per passare al digitale, vuol dire fare un salto nel tempo.
Sì, va bene, viene in mente l’oramai scontato “Nuovo cinema Paradiso”, quando si entra qui. Ma posare gli occhi su quel tavolo di lavoro, sulle bobine appese al muro e dei rocchetti di pellicola vuol anche dire immaginarsi il lavoro che uno come Giovanni Scaletti, classe 1948 (nella foto qui sotto), ha fatto nel taglia e cuci per pomeriggi e sere intere: monta la bobina del primo tempo, monta il secondo tempo, prepara la macchina, cura le pause. Così, per 45 anni. Tutto volontariato. «Ho cominciato per diletto nel 68’ – racconta – . Ero uno dei proiezionisti che imparò dal “Brusco”. Francesco Brusco era infatti il proiezionista del cinema Impero di Varese, un’autorità in campo, che veniva anche da noi, qui al San Giorgio, per organizzare gli spettacoli. Lui ci insegnò a tagliare le pellicole e prepararle per le serate».
Da allora di cose ne sono cambiate, nel cinema, fino ad arrivare ad oggi quando il film è contenuto in un hard disk che viene scaricato sul server della macchina. Via e-mail viene spedito un programma di sblocco, che per il periodo concordato col distributore permette di proiettare il film.
Niente più bobine da montare, niente più scritte “intervallo” da aggiungere: fa tutto la macchina: per questo il gabinetto di lavorazione della pellicola, che solo qualche settimana fa era in funzione, sembra già un pezzo di antiquariato.
Il lavoro del proiezionista era, alla fine degli anni 60’, una posizione ambita in paese: molti giovani seguivano gli insegnamenti del Brusco e imparavano a spacciare sogni per un paio d’ore, a regalare emozioni che partivano da quel buco luminoso, là in alto da dove ci stava “l’omino” che magari, a digiuno, aspettava che le lampade della proiezione finissero di scaldare la “schscetta” che conteneva la sua cena. Ascoltando il racconto di Giovanni Scaletti, ancora oggi proiezionista, ci sia accorge però di una cosa che la tecnologia non è riuscita ad affievolire, vale a dire la passione per questa attività che si basa ancora oggi sul volontariato.
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