Cosa significa non avere una casa: la storia dei profughi siriani al liceo Sacro Monte
Sabato 7 dicembre Marco Perini, responsabile di AVSI in Libano, ha raccontato agli studenti la condizione dei profughi siriani e la sua esperienza di volontariato
Un incontro di attualità separa gli studenti del Liceo Sacro Monte dal sabato pomeriggio: molti di loro si sono accomodati nel salone della scuola non vedendo l’ora di andare a casa.
Prima di uscire, invece, si sono resi conto di cosa significa avere una casa: sabato 7 dicembre Marco Perini, responsabile di AVSI in Libano, ha raccontato agli studenti la condizione dei profughi siriani e la sua esperienza di volontariato.
Quando ci si ritrova di fronte a un mucchio di macerie, non si riconosce più quella che il giorno prima si era soliti chiamare casa, ci si accorge che la sua esistenza non era un’ovvietà incrollabile. E nel ricordo se ne rintraccia una bellezza che, durante le giornate di normalità, passava inosservata. Si è costretti a partire senza sapere dove andare, ma con la quasi certezza di non poter tornare. Questa è la situazione per 5 milioni di profughi a causa della guerra in Siria.
Mentre le notizie si consumano e digeriscono come pietanze, e una volta assaggiate si cerca subito un sapore nuovo, la crisi umanitaria da affrontare permane: il Libano è attualmente composto per un venti per cento da profughi, che continuano ad aumentare. Un video testimonia le condizioni del campo profughi di Marj El Kok, nel sud del Libano: una collina arida, in una tenda vivono dieci persone tra cui una giovane vedova e una bambina con mosche negli occhi. «Ci siamo battuti per permettere ai bambini profughi di frequentare una scuola: i capi del campo inizialmente ritenevano fosse controproducente. E invece si sono resi conto, e io con loro, dell’importanza dell’intervento ‘immateriale’…».
Queste persone necessitano acqua, cibo, vestiti, cure mediche, ma a colpire non sono tanto le mosche, quanto l’espressione di quegli occhi. «Una necessità grande quanto quella di avere aiuti materiali, è quella di non sentirsi soli – Spiega Marco Perini -Condividere con queste persone la quotidianità, ascoltarle, è un aiuto immenso. E reciproco. In termini umani, ho ricevuto molto di più di quanto abbia procurato».
A differenza dei profughi, non abbiamo gravi carenze dal punto di vista materiale. Ma sul versante umano, non c’è poi così tanto divario. Il bisogno di beni immateriali ci accomuna, e la mancanza di essi può rendere inutili quelli materiali. Per questo, pure una persona agiata può sentirsi misera e tuttavia, per il fatto di avere molto, non riuscire a individuare in cosa consista la propria miseria.
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