Così funzionava la “fabbrica dei falsi”
L'indagine della Guardia di Finanza ha portato a scoprire una vera filiera abusiva, dal disegno dei marchi falsi alla stiratura finale: quattro i laboratori coinvolti, tra Somma, Cardano e i dintorni di Borgomanero
Un’intera filiera del "falso", dalla creazione dei marchi contraffatti fino alla stiratura finale, forse anche fino alla vendita attraverso negozi compiacenti. È interessante la storia del ricamificio abusivo scoperto dalla Guardia di Finanza di Gallarate, perché racconta di un’intero ciclo produttivo illegale, fatto di evasione fiscale e di falsificazione: quattro i punti – tra Lombardia e Piemonte – dove si lavorava per confezionare maglioni, polo, giacconi. Finti Armani, Gucci, Burberry, Ralph Lauren.
L’indagine ha impiegato per tre mesi la Compagnia di Gallarate guidata dal tenente Precentino Corona (nella foto): i primi approfondimenti sono partiti su due laboratori a Cardano al Campo e Somma Lombardo, ma poi l’indagine – ricostruendo la filiera produttiva – si è arrivati a varcare il Ticino, seguendo le tracce che portavano verso il Medio Novarese, i dintorni di Borgomanero che tra l’altro sono legati storicamente al settore tessile di Gallarate per lavorazioni secondarie. Qui – nella zona intorno a Borgomanero – la Guardia di Finanza ha identificato le altre due unità di produzione del ricamificio abusivo: un laboratorio si occupava di realizzare le etichettature e i pendagli, l’altra invece era la stireria che curava l’ultimo passaggio prima dell’immissione sul mercato. «Il contraffatto più grossolano finiva nei mercati, quello realizzato meglio andava invece nei negozi» spiega il tenente Precentino Corona. La rete commerciale del ricamificio è ancora al vaglio, per capire se ci fossero negozi conniventi che vendevano i falsi sapendo che si era di fronte a marchi contraffatti.
Centrale nella "fabbrica dei falsi" era in ogni caso la cura dei marchi contraffatti, che dovevano risultare credibili: la Guardia di Finanza ha denunciato anche l’esperto informatico che, per conto del ricamificio, aveva sviluppato il software che serviva a riprodurre nel modo più fedele le etichette delle griffe. Complessivamente la Guardia di Finanza ha denunciato sette persone, quattro delle quali legate da vincoli di parentela: erano le persone che gestivano tutti i quattro laboratori del ricamificio. La "testa" è un piccolo imprenditore italiano, sessantenne, che è già conosciuto agli archivi delle Fiamme Gialle per evasione e per falsificazioni varie. Una curiosità è anche la denuncia per distillazione abusiva: le grappe in preparazione dentro ad uno dei due laboratori in provincia di Novara non c’entravano nulla con l’attività del ricamificio, anche se la persone che si occupava dei distillati è uno dei parenti della famiglia coinvolta.
L’indagine della Compagnia di Gallarate sono partite appena dopo l’estate, arrivando a individuare a partire da ottobre le diverse unità operative del ricamificio. Il "blitz" nei laboratori è stato fatto proprio a ridosso di Natale, tra 23 e 24 dicembre: questo è il periodo in cui l’attività abusiva era in pieno svolgimento, in vista dei regali di Natale e dei successivi saldi. La lunga indagine ha portato non solo a scoprire una filiera dannosa per il made in Italy di qualità, ma anche ad individuare l’attività completamente in nero ed esentasse, con un guadagno non dichiarato che potrebbe aggirarsi intorno al milione di euro.
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