A rischio oltre 20mila posti di lavoro in Lombardia
Sono 82 le medie e grandi aziende metalmeccaniche in situazioni di difficoltà da lamento due anni. Il 30 settembre i delegati e i lavoratori iscritti alla Fim Cisl manifesteranno davanti a Palazzo Chigi
Sono oltre 20mila in Lombardia i lavoratori metalmeccanici ad alto rischio occupazione, coinvolti da cassa integrazione straordinaria o mobilità ormai da più di due anni. Ben 82 le imprese medie e grandi (oltre 250 dipendenti) per le quali la situazione di difficoltà è divenuta ormai strutturale. È quanto emerge dall’ultima rilevazione dell’Osservatorio congiunturale della Fim lombarda che il prossimo 30 settembre parteciperà alla manifestazione nazionale indetta dal sindacato dei metalmeccanici della Cisl.
Oltre 500 lavoratori e delegati, con pullman e treni, si recheranno a Roma dalla Lombardia per sollecitare misure urgenti di politica industriale, per lo sviluppo e l’occupazione. «Occorre superare decisamente le politiche di austerità – afferma Nicola Alberta (foto), segretario generale Fim Lombardia – che hanno pesato nel frenare l’attività economica, scegliendo invece una diversa strategia di rilancio degli investimenti pubblici nelle infrastrutture e di quelli tecnologici delle imprese, per costruire una nuova prospettiva di crescita economica e sociale».
Quanto all’impatto della crisi sui territori lombardi, Brescia si conferma al primo posto con 6.591 addetti coinvolti (14 aziende), seguita dalla Brianza con 5.112 (16 aziende) e Milano (4.265, sommando anche Legnano).
Le ragioni delle difficoltà strutturali sono diverse: dalla concorrenza con le aree low cost, alla contrazione della domanda di beni investimento, al costo della materia prima e dell’energia, alla riduzione degli investimenti delle aziende e di quelli pubblici in infrastrutture. Su alcune realtà, le più piccole, incide il problema del costo del denaro e la difficoltà di accesso al credito.
«Per molte realtà vi è anche il fattore della carente gestione imprenditoriale – conclude Alberta – e l’incapacità di costruire progetti di rilancio, quando non vi sono casi più gravi sfociati in insolvenza e bancarotta fraudolenta. I problemi spesso si sommano e incidono in concorso a determinare le difficoltà aziendali, che si traducono tutte in crisi occupazionale, cui fa riscontro il rifiuto a predisporre un qualsivoglia piano sociale».
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