Brugnoli: “Etichetta Made In, che delusione la bocciatura”

L'intervento di Giovanni Brugnoli, presidente dell'Unione degli Industriali della Provincia di Varese, esprime la delusione per l'ennesimo rinvio in Europa della legge che precisa l'origine dei prodotti di consumo

Nei giorni scorsi il consiglio Europeo ha rimandato al prossimo semestre,durante la presidenza Lettone, la discussione sulla legge sull’etichettatura, che permette di identificare l’origine dei prodotti di consumo non alimentari. L’ennesimo rinvio della legge sul cosiddetto "Made In" è stata una doccia fredda per gli industriali italiani, che contavano sul semestre di presidenza italiana per spingere quello che viene vissuto come un punto chiave per salvare i prodotti realizzati in proprio.

Come spiega Il Sole 24 Ore

"Da mesi ormai la questione sta dividendo i Ventotto. Molti paesi vorrebbero che sui prodotti non alimentari fosse precisata l’origine geografica, per difendersi anche dalla contraffazione. Questi stati membri sono tra gli altri la Francia e l’Italia. I paesi del Nord – che spesso producono all’estero sulla scia di una ampia delocalizzazione degli stabilimenti industriali, come la Germania – sono contrari.".


La delusione è stata fortemente espressa anche dal presidente dell’Unione Industriali di Varese, Giovanni Brugnoli, a margine della Giunta svoltasi nel pomeriggio del 9 dicembre. Ecco le sue considerazioni: 

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Rammarico e delusione, ma non incredulità: perché, purtroppo, la bocciatura era nell’aria.
Un pronostico sfavorevole che, però, non toglie l’amaro in bocca a chi, come noi imprenditori varesini, nei mesi precedenti ci aveva creduto, confidando nelle capacità del governo di portare a casa un risultato atteso ormai da anni.

L’argomento è quello del “Made in” e di come è stata accolta dalla Giunta dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese (che si è riunita ieri) la notizia del fallimento dell’ultimo Consiglio Europeo che non ha dato il via libera all’obbligatorietà dell’etichetta con l’indicazione della provenienza di tutti i prodotti (anche quelli non alimentari) in circolazione nel mercato unico del nostro Continente. Di più: non solo il “Made in” non è stato approvato, non si è nemmeno registrato nessun importante passo avanti per una sua dotazione nel prossimo futuro. Il semestre di presidenza italiana, su questo punto, si chiude con un bilancio deludente per la nostra manifattura.

L’ultima occasione che avevamo per l’introduzione dell’etichetta è stata rappresentata dal Consiglio europeo sulla competitività che si è tenuto lo scorso 4 dicembre. All’ordine del giorno, appunto, l’introduzione del “Made in” anche in Europa così come già previsto in altri importanti mercati mondiali come quello statunitense, cinese e giapponese, dove le merci vengono messe in vendita dando la possibilità ai consumatori di conoscerne, giustamente e ovviamente verrebbe da dire, l’origine. Da noi no, e non lo sarà ancora a lungo. Il Consiglio non ha trovato un accordo. Ancora troppo forte l’opposizione dei Paesi del Nord (19), Germania in testa, che si oppone ad un progetto appoggiato soprattutto da Francia e Italia (e altri 7 Stati).

Un sostegno che non è risultato sufficiente e che, forse, non è stato abbastanza convinto. Quasi come se ci si fosse arresi di fronte ad un match che ci vedeva sfavoriti. Siamo scesi in campo già sconfitti. Gli stessi osservatori di questioni europee hanno riportato come il dossier sia stato gestito con troppa timidezza e la questione posta al tavolo con atteggiamento fin troppo remissivo. Eppure siamo di fronte ad una bozza di quadro normativo, quella al vaglio del Consiglio europeo da mesi, che gode di una forte approvazione incassata ad aprile al Parlamento di Strasburgo (485 furono i voti favorevoli e 130 i contrari). Ma niente, tutto bloccato. Non si riesce ad arrivare al via libera definitivo che deve giungere dai rappresentanti dei governi.

Nei giorni scorsi era stata ventilata la possibilità di un accordo ponte che potesse prevedere una sperimentazione limitata solo ad alcuni prodotti (come quelli calzaturieri, dell’arredo, del tessile e della ceramiche). E invece anche in questo caso nulla di fatto. L’unica consolazione è il rinvio ad un Consiglio europeo nel 2015 sotto la prossima presidenza lettone. Con un nuovo round che partirà da uno studio che la Commissione europea nel frattempo dovrà predisporre per calcolare costi e benefici di un’etichetta “Made in” obbligatoria. Troppo poco, perfino rispetto ad un’opzione che ci avrebbe comunque lasciato perplessi, ma quantomeno più speranzosi: ossia un accordo di massima durante la presidenza italiana, preludio per un’approvazione definitiva nel 2015. Tutto slitta e viene vanificato così quello che poteva essere il valore aggiunto di un semestre europeo a guida italiana.

Si parla tanto di lavoro. Ecco, proprio l’approvazione del “Made in” è il classico esempio di una concreta politica industriale a sostegno dell’occupazione, attraverso la valorizzazione del tessuto manifatturiero locale, italiano ed europeo. E non parliamo solo del tessile-abbigliamento-moda. Il “Made in” riguarda trasversalmente tutti i comparti della nostra industria. Nessuna legge che si prefigga di agevolare il lavoro può crearne più di quanto possa fare una certificazione di qualità che testimoni il “fatto da noi”.

La “non scelta” dell’Europa sul “Made in” è poi palesemente in contrasto con gli stessi obiettivi comunitari di arrivare ad una quota del 20% del Pil continentale prodotto dal sistema manifatturiero. Una meta che una regolamentazione delle etichette potrebbe avere alla propria portata più di qualsiasi incentivo economico o fiscale. Anche sotto questo punto di vista il Consiglio Ue ha perso un’occasione. A costo zero, per di più.

Di certo Confindustria su questa battaglia non abbasserà mai la guardia e, per quanto ci compete e ci sarà possibile, l’Unione Industriali varesina farà di tutto per mantenere alta la tensione su questo tema. Sia all’interno del nostro sistema di rappresentanza, sia nei confronti delle istituzioni.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 10 Dicembre 2014
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