Roberto Marcora: “Punto al titolo perché so quanto valgo”
Scatta a Busto il torneo Futures: il campione di casa ripercorre la propria stagione, fissa gli obiettivi futuri ma prima di tutto dà l'assalto al titolo sui campi che lo hanno visto crescere

Il Futures di tennis di Busto Arsizio, “Trofeo Fba Ad Valorem”, giunto alla quarta edizione è alle porte: in campo anche il campione di casa Roberto Marcora che si racconta a VareseNews, sapendo di essere tra i grandi favoriti. L’obiettivo principale è conquistare il titolo che, già l’anno scorso, ha sfiorato arrendendosi solo in finale a Stefano Travaglia. Quest’ultimo, insieme all’ex promessa iberica Javier Marti, si è ritirato all’ultimo momento dal torneo avendo ricevuto una wild card a Padova. Dodici mesi fa gli obiettivi di Roberto (a destra nella foto, insieme al primo tifoso Daniele Fadini) erano due: entrare in Top 200 e disputare le qualificazioni agli US Open: traguardi raggiunti a pieni voti, visto che ad aprile ha toccato il best ranking della carriera (178) ed è riuscito a calcare i campi di New York, ma non solo. Australian Open, Monte Carlo, Roma, Roland Garros e Wimbledon (dove è uscito a testa alta contro il numero 99 al mondo, l’argentino Guido Pella, arrendendosi solo al terzo set ( 6-4, 4-6, 6-3) gli hanno permesso un ulteriore salto di qualità.
Roberto, nelle qualificazioni di Roma, ha tenuto testa a quel “diavolo” di Dolgopolov perdendo 6-4, 6-4. È stata un’ulteriore iniezione di fiducia aver giocato alla pari con un giocatore che vale tranquillamente i primi 20 posti del ranking?
L’anno scorso, di questi tempi, venivo dalla vittoria in tre tornei Futures da 10.000 dollari e stavo facendo il salto di categoria ai Challenger, quindi il mio tennis è migliorato e il livello dei miei avversari è cambiato. Quando sei tra i primi 200 al mondo esiste la possibilità di incontrare giocatori “Top 100”: la partita con Dolgopolov mi rimarrà dentro per tutto il contesto, per l’emozione di giocare a Roma, per il pubblico e per il tifo. È stato un bel match, ho avuto le mie chance, sono riuscito a non farmi intimorire da un avversario come lui, che fino ad allora avevo visto solo in televisione. Perdere non può mai dare fiducia, però si cerca sempre di trovare aspetti positivi anche nella sconfitta e io credo che, anche se i risultati di quest’anno potrebbero dire il contrario, il mio livello di gioco sia migliorato.
Di ritorno da New York la spalla ha ricominciato a mandare segnali di allarme che ti hanno costretto a stare fermo per due mesi. Il problema si è poi ripresentato.
Sì, problema che per fortuna questa volta ho risolto nel giro di 10-15 giorni. Avevo paura di una ricaduta più grave ma conoscendo il tipo di dolore che provoca, ho saputo come curarlo.
Parlando di US Open, come definisce la sua esperienza? In un’intervista su Spaziotennis lei si è paragonato a un bambino che va per la prima volta a Disneyland.
Gli US Open sono stati la realizzazione di un grande sogno, soprattutto se penso a tre o quattro anni fa quando non credevo fosse possibile che un giorno avrei calcato quei campi. Esperienza che si è fatta ancora più emozionante perché è venuta tutta la mia famiglia con il mio allenatore Uros Vico. Ho vinto il primo turno e giocato bene anche il secondo perdendo al terzo set contro Bagnis, un altro giocatore Top 100.
Ora è soddisfatto dei risultati raggiunti e di come stai giocando?
Sono soddisfatto del mio gioco e non mi sto facendo prendere dal panico per aver perso qualche posizione in classifica. Come piace ricordare a me e al mio mental coach, a volte bisogna anche fare qualche passo indietro per poi prendere slancio e andare ulteriormente avanti. Sono determinato e convinto che lavorando bene i risultati arriveranno.
Inutile dire che qui è l’idolo di casa. Dopo aver sfiorato la vittoria l’anno scorso, che previsioni ha in vista dell’inizio del torneo? Cosa significherebbe vincere il titolo proprio sui campi che l’hanno vista nascere e crescere?
L’anno scorso sono stato a un solo passo dalla conquista del titolo. Quest’anno ci riprovo a testa bassa, sarebbe una grande soddisfazione vincere in casa e sarebbe un’ottima occasione per ripartire e trovare una nuova fiducia, un nuovo “inizio” per la seconda parte di stagione. Non ho niente e nessuno da temere perché so quanto valgo e di cosa sono capace. È chiaro che se qualcuno sarà più bravo di me non potrò avere niente da recriminare.
Che previsioni ha in futuro? Ci saranno ancora gli US Open?
In vista di quelli non mi metto limiti, anche se rispetto all’anno scorso è più dura che io riesca ad andarci. Questo non mi preclude nulla, non mi metto pressione. Se non farò abbastanza punti per accedere alle qualificazioni di New York, li farò per arrivare a quelle degli Australian Open, a gennaio.
Che rapporto ha con Uros Vico, suo storico allenatore Uros Vico?
Ogni anno il nostro diventa sempre più stretto. Siamo molto legati: quando gioco in campo mi conosce anche meglio di quanto possa conoscermi io stesso. Non c’è niente di meglio per un tennista di avere una persona che ti conosca così bene.
Per concludere, pensa che il tennis di oggi stia diventando “noioso”? I Fab 4 (Federer, Nadal, Djokovic, Murray) che continuano a vincere e, a parte gli exploit di Stan Wawrinka, non sembra esserci nessuno alle loro spalle.
No, non lo penso assolutamente: credo semplicemente che il livello di competitività sia al massimo. Il punto è che non migliorano solo i tennisti delle nuove generazioni per cercare di raggiungere i più forti: i primi quattro vincono ma continuano ad alzare il proprio livello di gioco e per questo i nuovi faticano a emergere. Ed é vero, vincono sempre gli stessi, ma se questi offrono al pubblico uno spettacolo come il match di Djokovic e Federer in finale allora ben venga. Posso capire chi dice che assistere ad un match tra Djokovic e Murray sia noioso, ma io che faccio parte dell’ambiente non posso che ammirare la loro qualità di gioco e la loro forza fisica.
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