Vince la siccità, cambia il viaggio della Canoa Rossa
Con la carenza di acque, il Po diventa troppo inquinato e l'equipaggio della Canoa Rossa ha scelto di cambiare strada. La cronaca dell'ultimo giorno sul grande fiume e una riflessione
Pubblichiamo il terzo resoconto del viaggio della Canoa Rossa, spedizione di due ragazzi varesini sul grande fiume Po. A causa delle condizioni dell’acqua dovute alla siccità, il viaggio a lungo preparato cambierà strada, cercando acque più pulite
Fin dalla prima mattina il sole si fa sentire, cancellando ogni traccia di ombra intorno alla nostra tenda, in aggiunta ad un’afa maggiore dei giorni scorsi. Consumiamo dunque una rapidissima colazione in piedi presso due salici per metterci in acqua al piu presto, e solo con una certa fatica riusciamo a convincere un intraprendente scorpioncino rosso a non entrare a bordo con noi.
La tappa prosegue in scenari dominati da grandi secche e quasi totale assenza di altri esseri umani, ad eccezione di un signore curvo e cotto dal sole che non sembra accorgersi nemmeno di noi, e pare un dannato dantesco obbligato a spingere all’infinito una piccola barchetta a remi nella soffocante calura.
Dopo diverse ore emerge lontanissimo il campanile dell’altissimo Duomo di Casalmaggiore, dove pensiamo di attraccare usando delle rapidissime e malconce scalette. Una costante della secca record è infatti quella di aumentare incredibilmente la ripidità degli argini rendendo assai piu difficili gli ormeggi. Scendendo a riva ci si rende conto che il fondo è praticamente costituito da sabbie mobili che ci ingiottono fino alle ginocchia. Dopo avere assicurato la canoa, l’arrivo di una barchetta di pescatori con le loro reti proprietari del moletto ci obbliga a sposare la nostra imbarcazione. Si rivelano assai gentili, sono decisamente arrostiti dalle molte ore passate al sole nel fiume (“noi siamo qua tutti i giorni”, dichiarano), e ci mostrano soddisfatti una rete gonfia di prede, probabilmente pighi e savette. Ci viene qualche dubbio sull’opportunità di ingerire (e digerire…) degli animali che abitano tali acque, ma decidiamo di tenercelo per noi.
Consumiamo qualche scatoletta di cibo all’ombra di querce, meditando sulle condizioni del fiume. Realizziamo che un istinto naturale ci ha spinto ad evitare il contatto con le acque del fiume ogniqualvolta siamo scesi a terra, causa schiume compatte e onnipresenti e colori non certo dovuti alla sola presenza naturale di fanghiglia. Piedi in acqua, meglio evitare. Bagni rinfrescanti, non parliamone nemmeno. Vogliamo sperare che ciò sia almeno in parte dovuto alla siccità di questi giorni, che aumenta a dismisura la proporzione degli scarichi rispetto a quella delle acque “pulite”. Decidiamo che francamente non ci sembra né giustificato né entusiasmante proseguire in tali condizioni, e interrompiamo qui pianificando di tuffare l’Epoca in fiumi più vivibili non appena ci sarà possibile.
Ci vengono alla mente le parole amare e profetiche di un vero amante del Po quale il grande Mario Albertarelli ne “L’amo e la lenza”, scritte oramai 40 anni fa esatti ma purtroppo ancora valide: “Come chiamano l’acqua? Con una formula fatta di H al quadrato e di una O. Si pronuncia ‘Accadueò’. Ebbene, se andremo avanti cosí bisognerá dirle addio”.
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