Storie di Imprese

Mazzucchelli: facciamo l’impossibile

Migliaia di pezzi modellati con sapienza escono ogni anno da via Carlo Noè, direzione: il mondo. È la Emilio Mazzucchelli Snc di Alberto Mazzucchelli

Migliaia di pezzi modellati con sapienza escono ogni anno da via Carlo Noè, direzione: il mondo. È sorprendente pensare che una piccola officina di Cassano Magnago, la Emilio Mazzucchelli Snc di Alberto Mazzucchelli, per quanto ben attrezzata, riesca a fornire una grande multinazionale.

Alberto non ha paura che un giorno il suo lavoro possa essere sostituito da una macchina, magari da una stampante 3D?
«Noi lavoriamo con una precisione centesimale e a quanto ne so oggi le stampanti 3D non arrivano a questi livelli. Diciamo che al momento mi sento abbastanza sicuro delle nostre capacità».

Quest’anno la vostra azienda compie 70 anni, un traguardo importante. Ci racconta un po’ la vostra storia?
«La Mazzucchelli prende il nome dal suo fondatore, mio nonno Emilio, fabbro ferraio che aveva aperto una piccola forgia in via Manzoni, qui a Cassano Magnago. Oggi siamo nella sede che mio nonno acquistò nel 1963, quando insieme a mio padre Luigi iniziarono a fare lavori di precisione per il settore della chimica e della meccanica».

Suo padre Luigi quando ha iniziato a lavorare in azienda?
«Dopo le scuole e un breve apprendistato come operaio per la Galdabini. Diciamo che martello e incudine erano il mestiere di Emilio, torni e frese quello di Luigi. È grazie a papà che, dopo essersi trasferita in via Noè, l’impresa si dota di due torni, un bilanciere a vite, una trancia, trapani e attrezzature varie che consentono da una parte di eseguire lavori di precisione e dall’altra di produrre martinetti di sollevamento e chiavi a cricchetto per il settore Automotive. Un business che ci portiamo dietro fino ai primi anni duemila».

E lei Alberto quando entra in azienda?
«Nel 1987 mio padre scompare prematuramente e l’azienda entra in crisi. Da sei dipendenti ne rimane uno, ma grazie alla tenacia di mia madre Franca e di mia sorella maggiore Rossella riusciamo a tenere botta. Io intanto avevo concluso gli studi e grazie a un amico di papà, un maestro artigiano di nome Giovanni Oldani, ho imparato il mestiere». confartigianto generiche

Com’è stato quel periodo?
«Duro, ma anche bello. Giovanni mi ha insegnato tanto. Consideri che alla fine degli anni ’80 le macchine utensili erano tutte manuali. Non c’erano né visualizzatori né altro. Era l’operatore a fare la differenza. All’inzio Giovanni mi dava 350mila lire al mese per fare 12 – 13 ore al giorno e alla sera il lavoro doveva essere finito con tanto di pulizia dell’isola lavorativa e buonasera e grazie. Il premio dei miei progressi era quello di lavorare su macchine sempre più complesse, sino alla rettifica».

Per un ragazzo di 18 anni non deve essere stato facile abituarsi a quei ritmi…
«Infatti non lo è stato. Ricordo di un venerdì sera in cui tutti i miei amici erano già pronti per uscire mentre io ero ancora lì a lavorare. Così per sbrigarmi invece di pulire per bene ho fatto un bel mucchio di trucioli e con la scopa li ho cacciati dietro a un mobiletto. Ora non so come facesse, magari aveva il radar, fatto sta che Giovanni mi ha visto e pac. Un bel calcio nel sedere: “Già che te se ‘dre neta anca l’armadiet”, mi ha detto. Però ho raccolto anche tante soddisfazioni e soprattutto ho imparato un mestiere».

Quando è tornato a lavorare nella sua azienda?
«Nel ’91 mi sentivo pronto. Anche perché Giovanni mi aiutava permettendomi di usare le macchine che noi non avevamo, e nei lavori più complessi. Il problema era risollevare la parte della meccanica di precisione che con la scomparsa di papà era stata trascurata. Ho così progettato e realizzato delle macchine per la saldatura e grazie a queste macchine ho trovato un grosso cliente per cui ho prodotto pezzi per i crick delle automobili. Commesse da 3800 pezzi al giorno che ci ha dato lavoro fino agli inizi degli anni 2000».

Poi cosa è successo?
«A settembre di quell’anno, di rientro dalla ferie, l’azienda ci comunica di essere stata comprata e trasferita a Caserta. In una volta sola perdiamo circa l’80% del fatturato».

Quindi cosa ha fatto?
«Ho cercato di non perdere tempo e ho chiesto un finanziamento mentre avevo ancora il bilancio in attivo. Ottenuto il finanziamento ho acquistato un primo tornio a controllo numerico usato, quindi ho cominciato a lavorare per un’importante fonderia del territorio che mi affidavano i pezzi grezzi da lavorare. Ricordo ancora una delle prime commesse: 450mila padelle in quattro mesi».

Come arrivate a lavorare per una multinazionale?
«Grazie alla fonderia. Il titolare mi segnala a questa grande industria che mi affida un lavoro molto impegnativo, al limite della meccanica strutturale. Dopo tre anni e mezzo di sviluppo arriviamo a un modello definitivo che soddisfa il cliente e ad oggi questa azienda non solo occupa l’80% del mio fatturato e mi ha permesso di estinguere tutti i debiti, ma mi ha permesso anche di acquistare due torni a controllo numerico e un centro di lavoro a quattro assi».

Una bel traguardo.
«Io lavoro bene perché il mio cliente vende tanto all’estero, ma per quel che riguarda il mercato interno siamo ancora fermi e se continuano a farmi pagare il 63% di tasse non so quanto potranno reggere le aziende come la nostra».

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Pubblicato il 11 Settembre 2015
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