Il monastero perduto, ritrovato dagli infaticabili volontari

Quello di San Michele era il più grande tra i tre esistenti nel paese. Una piccola comunità continua a riscoprirlo giorno dopo giorno: pochi giorni fa hanno riportato alla luce il portale dell'ingresso originale

Monastero di San Michele lonate pozzolo

Era uno dei più importanti monasteri della zona a Nord di Milano, poi dimenticato, modificato, nascosto dagli interventi successivi. Il Monastero di San Michele a Lonate Pozzolo sta ritrovando nell’arco degli ultimi vent’anni, man mano, le sue forme: merito di un intervento corposo avviato dal Comune, ma merito anche dell’impegno di un pugno di cittadini. L’ultimo tassello è la riscoperta del portale d’ingresso originale: il portone affacciava sul fondo vicolo cieco che, non a caso, portava il nome di di S.Michele.

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Il monastero di San Michele a Lonate Pozzolo 4 di 7

I lavori, effettuati nello scorso mese di agosto, hanno riportato in vita un altro angolo nascosto di questo paesone a due passi da Malpensa, certo non noto come meta turistica. A riscoprire questo angolo – il portale originale – ci ha pensato l’instancabile Ambrogio Milani, con la collaborazione dei Lavoratori Socialmente Utili del Comune. Milani è un ricercatore appassionato e un ancor più appassionato volontario “sul campo”: da quando è in pensione si destreggia tra le pagine dei libri e dei documenti (su cui studia monumenti e luoghi), le vanghe e i rastrelli, usati per recuperare e curare tante parti del territorio. È stato tra i promotori del recupero di via Gaggio (oggi conosciutissima area verde con molte testimonianze storiche, dall’età romana alla Seconda Guerra Mondiale), di recente ha riaperto un’altra via storica, la Strada di Tinella.

E il portale perduto del Monastero? «Anno dopo anno – spiega Milani ai curatori del sito locale di Lonateil portone era stato interamente ricoperto dall’edera e da un grosso gelso, i cui rami salivano per circa otto metri, sfigurando l’intero ingresso, oscurando la visuale del portone e rovinando i coppi. È stato inoltre messo in evidenza, per quattro metri di profondità, l’antico acciottolato della piazzetta di S.Michele, risalente alla metà del 1600».

Il monastero femminile fedele alla Regola di Sant’Agostino era il più grande dei monasteri lonatesi, che avevano oltre 180 monache e decaddero soprattutto a seguito della terribile battaglia di Tornavento. O meglio: decaddero a causa delle scorribande delle soldataglie (qui un vivido racconto) che devastarono il paese, facendolo decadere da vivace borgo di commercio e servizi (diremmo oggi) a semplice centro agricolo. Le monache non si arresero ai soldati transalpini, ma ai decreti dell’Impero asburgico, che soppresse il monastero nel 1783. Ridotto a tanti usi diversi, il quadrilatero fu riscoperto solo due secoli dopo, acquistato dal Comune che ha portato poi a due diversi restauri che hanno restituito nuovi spazi culturali.

L’opera di recupero, però, non finisce mai. Milani e i Lavoratori Socialmente Utili hanno anche ripulito una parte dei portici del chiostro ancora ingombro di residui dell’ultimo cantiere, ridando smalto alle antiche pietre esposte nel lapidario, ultimi resti della chiesa annessa al monastero, demolita secoli fa. Hanno recuperato anche «la vecchia trave centrale del pozzo, in legno di rovere, opera dei mastri d’ascia», manufatto originale che – dice Milani con un pizzico di polemica – era stato sostituito «pochi anni fa con legname di pino». La vecchia fonte, riaperta nel 2014 ed esplorata anche dai ragazzi di Unex Project (clicca qui per saperne di più), è un po’ l’elemento centrale del monastero, ancora oggi di richiamo. Ma è anche un simbolo importante per questo paese: “Lonate dei pozzi” è una etimologia affascinante del nome, rimasta nel cuore anche dei tanti emigranti partiti per l’America, che ancora a distanza di generazioni raccontano dei pozzi lonatesi.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it

Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.

Pubblicato il 21 Ottobre 2015
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