Artigiano della Valceresio paga gli stipendi, gli svizzeri lo multano
Spesso le imprese italiane che lavorano in Svizzera devono sottostare a una doppia burocrazia. «Perché non fare una zona cuscinetto con norme comuni per i due paesi?»

Per un imprenditore è già difficile avere a che fare con la burocrazia di un solo Paese. Se poi, come capita a chi fa business sulla fascia di confine, deve combattere anche contro quella svizzera, per reggere lo stress è meglio che si immedesimi in un monaco zen.
Ombretta, socia della Spinazza & c snc azienda artigiana di Arcisate (Varese) che commercia da oltre 50 anni in pavimenti e arredobagno, non ha bisogno di recitare alcun mantra, perché avendo da sempre tra i suoi clienti molti svizzeri è abituata a rispettare le norme in vigore al di qua e al di là del confine. Però quando qualche mese fa si è vista recapitare dalle autorità svizzere una multa per aver pagato lo stipendio dei propri dipendenti secondo la legge italiana, anche la sua calma ha vacillato.
Gli svizzeri infatti contestavano alla sua azienda di pagare lo stipendio il 16 del mese dopo la prestazione, mentre in base alle norme elvetiche lo stipendio va pagato entro la fine del mese. «Era la prima volta in tanti anni di lavoro con la Svizzera – racconta Ombretta – che mi sentivo fare questa contestazione. Gli svizzeri, quando i nostri lavoratori varcano il confine per installare un bagno o posare un pavimento, ci chiedono tutta una serie di adempimenti burocratici: dobbiamo dare l’annuncio con almeno 8 giorni di anticipo, fornire i documenti che attestano le ore lavorate, la busta paga e la prova che hai versato lo stipendio al dipendente con i relativi i contributi. E per finire versiamo anche una cifra che serve a pagare i nostri controllori».
La sensazione di Ombretta è che le autorità elvetiche abbiano voluto stringere le maglie della burocrazia in un momento non facile per l’economia. Non che sul fronte italiano le cose vadano meglio. Per esempio, quando un’impresa manda i suoi lavoratori in Svizzera deve compilare il modulo A1, che attesta il regolare versamento dei contributi in Italia, ma nell’era della connettività totale l’imprenditore questa dichiarazione deve farla fisicamente. Quindi deve lasciare il lavoro, andare nella sede dell’Inps e compilare il modulo mentre il dipendente dell’ente controlla il pagamento dei contributi sullo schermo del computer. «Non è certo colpa degli impiegati dell’ente previdenziale – continua Ombretta – sarebbe più veloce e comodo anche per loro se quel modulo si potesse fare on line e non avessero lì la fila delle persone. Comunque, avevano detto che avrebbero predisposto una email dedicata, ma non l’hanno ancora fatto».
L’artigiano di Arcisate è tenace e anziché arrendersi alle richieste delle autorità di controllo svizzere decide di fare autonomamente ricorso contro la multa ricevuta specificando che il salario era pagato in base alla normativa italiana con il dovuto adeguamento per le ore lavorate oltrefrontiera. Una motivazione che secondo gli svizzeri non è sufficiente per escludere la concorrenza sleale. In questo caso nemmeno gli accordi bilaterali tra Italia e Svizzera possono venire in aiuto, tanto che l’imprenditrice commenta ironicamente : «A volte mi sfugge il concetto e anche la funzione della bilateralità».
Alla fine la soluzione di buon senso l’hanno trovata i consulenti di Confartigianato Imprese e Varese proponendo alla controparte il versamento di un acconto entro la fine del mese, cioè entro il 30, come pagamento delle ore lavorate in Svizzera. Mentre per la rimanente parte dello stipendio l’imprenditore può continuare a versarla entro il 16 del mese successivo. «L’azione dell’associazione di rappresentanza è stata efficace – conclude Ombretta – a differenza del singolo artigiano che in questi casi può fare poco. Forse sarebbe utile riportare al centro del dibattito la creazione di una zona cuscinetto a ridosso del confine dove le norme siano le stesse per entrambi gli stati».
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